Gli album dei Lambchop richiedono ascolti attenti ma si possono comprare in tutta sicurezza, non hanno bisogno di essere ascoltati prima, e quasi sempre si approssimano all’eccellenza. Garantisce Kurt Wagner, forse uno dei pochissimi autori del panorama americano ad avere saputo creare un’estetica e un suono tanto personale partendo da una materia così tradizionale e, soprattutto, ricca di tradizione. Stiamo parlando naturalmente di country, un po’ folk, un po’ rock, sicuramente poco ‘alt’, quando si usa questo prefisso quasi a volere rassicurare il proprio snobismo cercando di nobilitare un genere altrimenti considerato troppo legato al provincialismo rurale statunitense. Ebbene non vi affaticate in questo inutile sforzo, le canzoni dei Lambchop, anche quelle di questo nuovo splendido “OH (Ohio)”, sono già nobili, dotate di una classe aristocratica e cristallina, impreziosite da una tonalità di malinconia che non diviene mai tristezza ma calda consolazione, tinta di serenità postprandiale. La produzione è appannaggio del fido Mark Nevers (ormai affermato nel ruolo grazie alle prestigiose collaborazioni con Bonnie ‘Prince’ Billy, Lou Barlow, The Clientele tra gli altri) e in generale l’assetto più stabile trovato dalla band-orchestra è una garanzia di continuità e qualità del suono. Dalle ballate più suadenti (“Ohio”, “A Hold Of You”, “Please Rise”) ai brani più ritmati (“National Talk Like A Pirate Day”, “Sharing A Gibson With Martin Luther King Jr.”) gli ingredienti restano sempre gli stessi, anche se proposti sempre in forme e proporzioni diverse: chitarre languide, pianoforte, pedal steel, contrabbasso e fiati per orchestrazioni raffinate e discrete che hanno ormai fatto scuola (un nome su tutti: Sufjan Stevens) e che continuano a fare da perfetto contraltare alla seducente voce di Kurt. Splendidi, con la consueta semplicità.