C’è ancora qualcuno che si attarda sulla carriera di Liz Phair? A giudicare dai risultati che restituisce una semplicissima ricerca sul suo ultimo Somobeby’s Miracle, effettuata tra le pagine in italiano indicizzate da Google, sembrerebbe che gli alfieri dell’originalità Indie senza occhi, si siano depurati da ogni scoria compromissoria; meglio non parlarne, e per quanto riguarda lo showbiz casalingo delle nostre charts, Liz è un personaggio marginale e non ha certo opportunità di diffusione, nonostante il patronimico ingombrante della Capitol Records. Pare di sentirli, questi oscuri sacerdoti dell’indierock; Liz Phair ha perso la forza di un tempo, Liz Phair si è completamente svaccata sui suoni di un Fm-rock che non esiste più, il suo Somebody’s Miracle merita il rogo insieme al Ryan Adams di Rock’n’roll. Eppure dietro la produzione pompatissima di un country-power-pop muscolare l’unica differenza con Exile in Guyville è davvero questa ostinata volontà malinconica di congelare il tempo in un suono che non fa più presa su nessuno, e questo al di là delle intenzioni teoriche contenute nello storico debutto della Phair. Il songwriting di Liz è potente e fiaccato allo stesso tempo, ha la forza gigantesca di qualcosa che si fa beffe del tempo, come un road movie infinito; è lo scheletro e l’epitaffio di un genere che non esiste più e flette su una classicità malinconica e riflessiva, è la fotografia spietata dell’indierock e della sua fragilità. A conferma di questo Wa/ondering che Liz sta vivendo, un sorprendente Podcast messo su da lei stessa e ascoltabile sottoscrivendo questo feed, uno show splendido portato avanti durante gli interstizi temporali del suo tour, tra telefonate con il fratello, voci lontane, simulacri di un viaggio e le sue performance dal vivo.