Al di sotto dell’ala protettiva della Garrincha Dischi, esce ad Aprile il nuovo lavoro de L’Orso, nonché primo LP della band. Dopo il fortunato esperimento del Cantanovanta (di cui potete leggere qui) e la successione di tre EP (sul secondo dei tre, la provincia, puoi leggere questa recensione) L’Orso abbatte il tabù delle cinque tracce raggiungendo quota undici. L’album conserva e sviluppa la ricetta che già in precedenza si era rivelata vincente, ossia creare rappresentazioni tratte della vita quotidiana, incastri di storielle avulse dal contesto ambientale e situazioni paradigmatiche del passaggio all’età adulta. Incorniciato da melodie fresche, degne delle merende pomeridiane all’aperto, il disco è un concentrato dreaming-pop, misto fra folk e musica da cameretta, un po’ trasognante e un po’ cantautorale. C’è la melanconia di Ottobre come settembre, la micro fuga in forma di marcetta di Con i chilometri contro, la redenzione di Baci dalla provincia. Un assaggio di vacanze quando fuori il tempo sembra non darne speranze come ne La meglio gioventù e il suo sfogo serrato pedalato alla massima velocità. Brani che si offrono nell’immediatezza della loro semplicità, scanzonati ma non frivoli, così diretti e puliti da risultare in certi passaggi acerbi. In fondo si può definire un vero e proprio successo, se si pensa che il percorso de L’Orso è avvenuto per gran parte in sordina, senza botti o echi roboanti e per giunta capitanato da una voce, quella di Mattia Barro, che non risulta essere né la più espressiva e certe volte nemmeno la più intonata che si possa sentire. La strada fatta fino ad ora lascia a ben sperare, ma ci sono molte tappe da percorrere, prima fra tutte, l’emancipazione da certi modelli, molti dei quali sempre di casa Garrincha, che segnano la personalità del gruppo. Una scommessa che un “collettivo in continuo divenire” come L’Orso saprà di certo cogliere.