A soli 6 mesi dall’uscita di “Hold On Now, Youngster…” i gallesi Los Campesinos! si ripresentano nei negozi di dischi con un nuovo album, “We Are Beatiful, We Are Doomed”. Come specificato da loro stessi all’annuncio di questa release, non si tratta di una raccolta di b-sides o di remix per sfruttare l’onda del successo del precedente lavoro, bensì di solo e soltanto nuove canzoni, scritte per l’occasione.
Canzoni che dimostrano, oltre a una prolificità superiore alla media, dati i brevi tempi di realizzazione, una veloce crescita per il gruppo, capace di fare un ulteriore salto qualitativo rispetto al debutto di inizio anno.
Gli ingredienti di base sono più o meno gli stessi dell’esordio, ma con sicuramente maggior personalità, sicurezza nei propri mezzi e voglia di ampliare i propri orizzonti. Su coordinate “classiche” per i gallesi è il primo brano, “Ways To Make It Through The Wall”, sintesi iperenergetica di Architecture In Helsinki (anche nel cantato) e indie britannico. Ci si immerge invece in un godibile alternarsi tra twee e momenti quasi noise nella seguente “Miserabilia”, prima della title-track, annunciata da un giro di tastiere irresistibile che ritorna lungo tutto il brano, interrompendo le strofe semi-parlate. Dopo il breve intermezzo “Between An Erupting Earth And An Exploding Sky”, niente più che un esperimento verso l’elettronica, arriva “You’ll Need Those Fingers For Crossing”, che parte come ballata folk con un importante ruolo dato al violino per poi aumentare di intensità lasciando spazio a intermezzi strumentali che potrebbero richiamare gli ultimi Sonic Youth; in definitiva, i 5 minuti più interessanti dell’album. Ritorno a ritmi saltellanti per l’accoppiata formata da “It’s Never That Easy Though, Is It? (Song For The Other Kurt)” e “The End Of The Asterisk”, che scivola via veloce e piacevole, senza però impressionare molto. In “Documented Minor Emotional Breakdown #1” domina invece una chitarra tra Pavement e Strokes, che va ad amalgamarsi con tastiere e cori twee; anche questo brano dimostrazione di varietà e di crescita, di cui è esempio lampante anche “Heart Swells/Pacific Daylight Time”, che in soli 2 minuti e mezzo si muove prima tra atmosfere quasi post-rock, poi su arpeggi di chitarra acustica. Ultimo brano, “All Your Kayfabe Friends”, che sembra chiudere un circolo con il primo: anche in questo caso siamo di fronte a una melodia trascinante, tra handclapping, tastiere e violino costantemente in primo piano, inserti di cori nel ritornello, il tutto miscelato perfettamente.
Sicuramente una buona prova quella dei gallesi, che sembrano rispondere anche in questo caso alle attese, evitando così di diventare una delle tante meteore partorite dal mercato indie inglese e dall’NME.