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Low, la foto-intervista @ Indie-Eye – Milano 28-11-2011

Low, l'intervista esclusiva in occasione del concerto ai Magazzini Generali di Roma del 28 novembre 2011

I Low hanno attraversato gli ultimi venti anni di musica restando fedeli al loro credo, fatto di spazi e silenzi, di psichedelia e radici, di semplicità e genialità: dal loro primo capolavoro I Could Live In Hope all’ultimo bellissimo C’Mon il tempo sembra essersi fermato, cristallizzato e sospeso all’interno di composizioni sempre toccanti, fatte di poco ma capaci di trasmettere molto.
Il loro tour è finalmente passato dall’Italia e abbiamo così potuto incontrarli ai Magazzini Generali di Milano prima di un concerto che ha confermato una volta di più la statura della band. Un’intervista partita un po’ in sordina, con Alan sulla difensiva e perso nella contemplazione della sua chitarra, mai abbandonata e spesso usata per creare sottofondi improvvisati alle risposte, ma finita in un clima rilassato e familiare, con Mimi a mostrarci, da buona zia, le foto delle nipotine nate il giorno prima.

Con l’ultimo album, C’mon, sembra che siate tornati a suoni più “classici” e legati al folk dopo gli esperimenti elettronici di Drums & Guns; al tempo stesso le liriche si sono fatte più intime. C’è una correlazione tra questi due fatti?
A: sì, penso sia così. Le canzoni sono più intime, più legate all’interiorità rispetto a quelle di Drums And Guns, che era un disco a suo modo politico, che voleva parlare a tanta gente. In questo caso, è vero, ciò che ho scritto è più intimo, il disco è nato come una conversazione privata, con qualcuno che ti conosce bene.

Il disco è stato registrato in una vecchia chiesa. Avete scelto questa location perché cercavate un suono che si collegasse in qualche modo alla vostra idea di sacro?
A: No, è semplicemente uno studio vicino a dove viviamo, possiamo raggiungerlo a piedi da casa nostra. Certo, il suono che otteniamo lì ci piace, ma non ci vedo collegamenti con il sacro.

Cosa potete dirci sul video di Try To Sleep? Come avete scelto Travis Schneider come regista e John Stamos come attore?
M: Travis è un nostro amico, e lui conosce John Stamos, che noi invece non conosciamo e non abbiamo mai incontrato. È stato Travis a contattarlo direttamente chiedendogli di recitare nel video e lui ha accettato. Speriamo di incontrarlo, per ringraziarlo per il grande favore che ci ha fatto.

Il testo di Try To Sleep è abbastanza enigmatico, così come il video. C’è una correlazione tra ciò che intendevate dire nel testo e ciò che vediamo nel video? È un’interpretazione del regista o gli avete suggerito qualcosa?
M: credo sia un’interpretazione di Travis, noi non gli abbiamo detto nulla.
A: sì, è stata totalmente una sua idea, che abbiamo apprezzato. Ci piacciono video relativamente semplici ma che lascino spazio ad interpretazioni, quindi il suo lavoro è stato perfetto. Per quanto riguarda il testo hai ragione, è abbastanza enigmatico.
M: penso sia uno di quei testi a cui diamo diverse interpretazioni, più o meno ogni volta che cambia il tempo. Per esempio potrebbe riferirsi al fatto che è dura cercare di dormire quando si è in tour, ma anche quando si è a casa con i figli!

Penso che una delle migliori canzoni dell’album sia Nightingale; in quella canzone le vostre voci sono legate in maniera fantastica. Come lavorate su questi duetti? Li provate molto o vengono naturali?
M: è abbastanza naturale
A: è una parte importante della nostra musica ed è qualcosa che ci viene abbastanza naturalmente; per esempio in quel caso ci sono volute pochissime take per registrarla
M: mi diverto molto in quei casi; c’è come una specie di scintilla tra noi ed è bellissimo. Mi diverto, anche se la nostra non è musica esattamente gioiosa
A: anche per me è così. Secondo me abbiamo migliorato col tempo in questa caratteristica, probabilmente alcune delle migliori cose in questo senso le abbiamo fatte su Drums And Guns

In Something’s Turning Over ci sono le vostre figlie ai cori. Suggerireste loro di diventare musiciste?
M: Penso che se avessero una passione davvero forte, le incoraggeremmo. Finora hanno preso lezioni di piano, e suonano per divertimento chitarra, batteria, basso, anche perché a casa nostra è facile trovarli! Comunque, abbiamo sempre cercato di incoraggiarle a fare ciò che si sentono, quindi se un giorno vorranno suonare, continueremo ad incoraggiarle.

In Majesty/Magic ho apprezzato in particolare l’uso delle percussioni. Come è nata quella canzone e il suo crescendo percussivo?
A: è una canzone molto semplice, è basata su due accordi. C’era questo spezzone di melodia che mi sembrava troppo limitato per farne una canzone, ma al tempo stesso mi ispirava molto. Per questo abbiamo deciso di lavorarci su. Il risultato finale mi piace abbastanza, anche se forse non è esattamente quello che avevo in mente. La semplicità dello schema di base della canzone dà infatti molta libertà su come lavorarci, ad esempio nei live ogni volta viene diversa.
M: esatto, è una delle canzoni su cui ci diamo più libertà nei concerti, seguendo anche le nostre sensazioni. Per esempio quando la suoniamo in questo periodo dell’anno a me sembra quasi una canzone di Natale

Potreste registrarla e metterla su un nuovo Christmas Ep allora…
M: perché no, magari aggiungendoci qualche campana!

In Witches suona con voi Nels Cline dei Wilco. Come lo avete coinvolto?
A: lo conosciamo da molto tempo ed è sempre stato uno dei miei musicisti preferiti. Per quanto riguarda la collaborazione su Witches, è nata da uno dei classici casi in cui ci si dice “hey, dovremmo fare qualcosa assieme prima o poi!”. Poi solitamente non accade mai però.
M: però poi Alan ha incontrato Nels a Los Angeles ed era il momento giusto perché accadesse.
A: mi sono fatto mandare i file della canzone su cui stavamo lavorando e su cui pensavo che Nels potesse inserirsi e in un paio di giorni siamo riusciti a concludere.

Parlando invece di side-projects, che importanza hanno per i Low? Per esempio, i Retribution Gospel Choir hanno avuto un’influenza sul ritorno alle chitarre di C’Mon?
A: Da un certo punto di vista sì. Con i Retribution Gospel Choir suonavo in maniera rilassata, con la mia chitarra senza il pensiero di dover per forza far accadere qualcosa. Quindi quando ho iniziato a lavorare al nuovo disco dei Low ero ancora nello stesso mood, ho iniziato a suonare cose semplici con la chitarra. Posso dire che lavorare a questo disco è stato più semplice che per il precedente, ero più calmo e mi ponevo meno problemi. Di certo il modo di lavorare che ho con Mimi è diverso da quello che ho quando compongo o registro con gli altri, però ci sono naturalmente influenze in una direzione e nell’altra: ciò che faccio con i Low ha risentito della mia esperienza con i RGC, così come il contrario.

Qual è il vostro album preferito dei Low?
M: credo il Christmas EP. E mi piace molto anche questo.
A: in realtà non riascoltiamo quasi mai i nostri dischi, però dico anch’io Christmas

Guardando indietro agli inizi della vostra carriera, assieme a voi c’erano band che suonavano “piano”, contro il rumore del grunge e del rock mainstream di quegli anni. La critica poi ha unito tutti sotto il nome di slow-core, una definizione con cui non sono molto d’accordo. Possiamo però dire che allora ci fu una reazione contro il rumore ad accomunare alcune band, tra cui voi?
A: sì, penso di sì. Per esempio io pensavo che ci potesse essere spessore e pesantezza anche in musica più minimale di quella che si suonava allora. Avevo anche suonato in un paio di band heavy e rumorose, ma cercavo altro dalla musica in quel momento. Così quando iniziammo con i Low non tentammo di andare contro lo stato delle cose, ma di metterci “a lato”, fare qualcosa di forte ma con traiettorie diverse. Quando ero giovane c’era il punk-rock ad influenzarmi, ma nel frattempo avevo imparato ad apprezzare anche gruppi come i Joy Division o i Velvet Underground e ci avevo trovato qualcosa di forte, nella loro capacità di essere statici ma al tempo stesso in grado di trasmettere energia. Così iniziammo cercando di fare qualcosa con quelle caratteristiche, senza aspettative che andassero oltre a qualche concerto. Dopo aver scritto le prime canzoni, capimmo che ci piaceva davvero ciò che stavamo facendo e continuammo. Col tempo un po’ di gente iniziò a seguirci, forse perché anche loro si erano stancati e volevano reagire agli estremi della musica rumorosa contrapponendogli il nostro estremo. In definitiva, non posso dire che la nostra fosse una reazione studiata e voluta al 100%, ma posso dire che abbiamo sempre saputo esattamente ciò che volevamo suonare, ed era qualcosa di calmo.

E cosa pensate della scena musicale attuale?
A: penso ci siano molte cose interessanti, anche se è diventato molto difficile per una nuova band riuscire a farsi notare e anche a restare al centro dell’attenzione. In questi anni è andata sempre peggio da questo punto di vista e non credo che se avessimo iniziato ora noi saremmo durati, come invece ci è successo iniziando negli anni Novanta. Ora bisogna affidarsi per tutto al computer, e noi non siamo così bravi ad utilizzare social network e cose simili! Ai nostri tempi l’unico modo per farsi conoscere era fare concerti, e quello ci piaceva e credo ci venisse anche bene! Abbiamo suonato veramente ovunque nei primi anni, dalle case private ai coffee shop, e c’era gente che andava davvero ai concerti per scoprire qualcosa di nuovo. Ora non è così, anche perché la situazione economica è pessima, ci sono meno locali, la gente è meno disposta a spendere e in generale fare tour è diventato più dispendioso. Ciononostante c’è ancora buona musica e buone band, e per me è una gran cosa quando riescono a raggiungere un pubblico abbastanza ampio, perché significa che c’è ancora speranza per la musica.

Qualche band che vi piace, tra le nuove?
A: i primi nomi che mi vengono in mente sono i Blitzen Trapper, che hanno fatto un disco veramente bello, e i Tune-Yards. Inoltre negli ultimi anni ho ascoltato molto reggae e dub e anche molta dubstep, per esempio trovo che Burial faccia cose molto interessanti.

i Low in rete

Fabio Pozzi
Fabio Pozzi
Fabio Pozzi, classe 1984, sopravvive alla Brianza velenosa rifugiandosi nella musica. Già che c'è inizia pure a scrivere di concerti e dischi, dapprima in solitaria nella blogosfera, poi approdando a Indie-Eye e su un paio di altri siti.

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