giovedì, Novembre 21, 2024

L’uomo che cadde sulla terra: David Bowie attraverso 10 album # 2

E disponibile dal 3 dicembre la distribuzione europea del David Bowie Box pubblicato da sony; cofanetto che continene gli ultimi cinque album di Bowie, ovvero Outside, Earthling, Hours Heaten e Reality presentati in edizione speciale doppio cd. Insieme ad ogni album vengono pubblicati tutti i remix, le b-sides contenute nei singoli relativi al periodo di pubblicazione. Abbiamo sfruttato questa occasione per chiedere a Federico Fragasso di tornare indietro e (s)mitizzare dieci album mitici del duca bianco in 5 articoli , questa è la seconda parte, la prima è possibile leggerla da questa parte

“L’uomo che cadde sulla terra” – il percorso artistico di David Bowie attraverso l’analisi di dieci album fondamentali. # 2
aladdin_sane.jpgDurante il tour americano di Ziggy prendono forma le idee che andranno a comporre il successivo Aladdin Sane (1973), il cui titolo è in realtà un gioco di parole: può infatti essere letto come “a lad insane”, ovvero “un ragazzo pazzo”. Si tratta di un’opera piuttosto istintiva se confrontata con il predecessore, che al contrario era stato curato fin nei minimi dettagli. Gli arrangiamenti orchestrali scompaiono del tutto e la produzione risulta volutamente più grezza, prendendo a modello il Garage Rock dei Rolling Stones. Sono evidenti anche i primi segni dell’infatuazione di Bowie per la musica nera, assecondata poi pienamente in Young Americans. L’album registra inoltre un ampliamento di organico negli Spiders: al gruppo si unisce il pianista Mike Garson, musicista di grande talento che apporterà al sound della band sofisticati spunti Jazz e d’avanguardia.
Ad aprire le danze è la rockeggiante Watch That Man, cronaca di un droga-party newyorkese di cui David era stato testimone, ma già il secondo pezzo, Aladdin Sane (1913-1938-197?), lascia totalmente spiazzati. L’ariosa melodia pianistica accompagna la descrizione di una società sull’orlo della Terza Guerra Mondiale (a questo fanno riferimento le date fra parentesi): la decadenza fiorisce mentre tutti perseverano nei loro frivoli atteggiamenti (“grida di battaglia e Champagne”), incuranti della catastrofe che sta per abbattersi su di loro (“Parigi, o forse l’Inferno”). Poi l’andatura del pezzo ha un brusco scarto: su di un ostinato riff di basso il sassofono di Bowie e il piano di Garson si inseguono in una jam nevrotica, mentre la voce continua a domandarsi “chi amerà un ragazzo pazzo?”. Drive-In Saturday, fantascientifica ballata Doo-Wop, ci riporta in territori più rassicuranti e spiana la strada a Panic In Detroit. Una chiacchierata con l’amico Iggy Pop, originario proprio della capitale del Michigan, aveva suggerito a David l’immagine della città come caotica jungla d’asfalto. Ecco quindi che, su un tappeto di percussioni tribali e cori Gospel, il riff à la Bo Didley suonato da Ronson accompagna la descrizione di un guerrigliero urbano, sorta di Che Guevera senza causa. Al muscolare hard rock di Cracked Actor segue Time, rilettura della Chanson sul modello di Brel con l’aggiunta del tocco jazzy di Garson e delle splendide cesellature di Ronson. Il pezzo affronta un tema caro a Bowie, quello dello scorrere del tempo e delle sue conseguenze. Passando in rassegna le morti illustri di alcuni tra i suoi amici nel mondo del Rock David si meraviglia di essere lui stesso ancora vivo, osservando tristemente come a fronte di tanti sogni l’unica cosa che la celebrità gli abbia lasciato sia “il senso di colpa per aver sognato”. Dopo il Cabaret di The Prettiest Star un sibilo elettronico e pochi dissonanti accordi di piano introducono l’anfetaminica Let’s Spend The Night Together, cover degli Stones e preludio alla vera pietra miliare del disco, The Jean Genie. È questa una trascinante cavalcata Rock-Blues, incentrata sulla figura di un personaggio che “adora essere adorato” e “siede come un uomo/ma sorride come un rettile”, evidentemente ricalcato sull’immagine di Iggy Pop. A chiudere l’album la ballata Lady Grinning Soul, con l’ennesima grande performance di Garson al piano.

A questo punto David è una rockstar affermata su entrambe le sponde dell’oceano e la figura di Ziggy si è rivelata profetica oltre ogni più rosea previsione: per il pubblico sussiste una totale identità fra il personaggio e l’attore che ne recita la parte. Approfittare di questo vantaggio potrebbe essere redditizio, permetterebbe una vita di rendita, ma sarebbe anche in contrasto con l’inquietudine creativa dell’artista e lo esporrebbe alla caducità di una moda che egli stesso aveva contribuito a lanciare. Per Bowie non esiste che una strada percorribile: liberarsi della sua creatura prima che essa si liberi di lui. In un memorabile e plateale gesto, al termine di una esibizione all’Hammersmith Odeon di Londra nel Luglio del ’73, Ziggy compie il suo Rock’n’Roll Suicide. Dopo un album di sole cover, Pin-Ups (1973), l’artista scioglie gli Spiders From Mars e si appresta ad affrontare il futuro con le idee non troppo chiare riguardo la direzione da seguire.

diamondogs.jpgTrasferitosi a Los Angeles, Bowie si dedica alla composizione di un’opera rock tratta dal 1984 di George Orwell, progetto abortito sul nascere a causa del veto posto dalla vedova dello scrittore. Alcuni spunti confluiranno nel nuovo lavoro, sul cui risultato finale inciderà fortemente anche l’opera di William Burroughs, nonché le suggestioni del Freaks di Todd Browning e del Metropolis di Fritz Lang. Considerate le fonti d’ispirazione, per non parlare del rapido sprofondare del nostro nel baratro della cocaina, non c’è da stupirsi che Diamond Dogs (1974) sottolinei una fase musicale particolarmente tenebrosa. Ciononostante l’album presenta alcuni pezzi memorabili e il suo magniloquente mix di Rock’n’Roll, musica nera e incubi elettronici registra evoluzioni creative fondamentali per il futuro del musicista. Ad accompagnare Bowie, oltre a Mike Garson al pianoforte, ci sono adesso Herbie Flowers al basso e Ainsley Dunbar alla batteria. Per la prima volta David si assume gli oneri di chitarrista solista ma sperimenta anche con i sintetizzatori Moog e Mellotron, nel tentativo di esplorare a fondo le potenzialità offerte dalle nuove tecnologie. A livello lirico l’innovazione più importante consiste nello sfruttamento del Cut-Up Burroughsiano per la composizione di molti testi dell’album. Questa tecnica impone l’accostamento di frasi e parole secondo un percorso di analogie interiori, nel tentativo di partorire immagini evocative piuttosto che seguire una narrazione di senso compiuto. Evidenti anche le evoluzioni sul piano vocale: da qui in avanti Bowie aggiungerà al proprio registro il cavernoso timbro baritonale che influenzerà non poco le formazioni Dark degli anni ottanta.
Un ululato apre Future Legend, dissonante tappeto elettronico che ci presenta lo scenario da incubo di Hunger City. Con la sua minacciosa presenza questa metropoli da utopia negativa farà da sfondo all’intero album, contribuendo all’atmosfera cupa delle canzoni. Il Garage Rock della title-track introduce il personaggio di Halloween Jack, versione dark di Ziggy, essere metà uomo e metà cane a capo dei vicoli di Hunger City e delle grottesche creature che li popolano. Bowie ne indossa i panni sulla copertina che, all’epoca, creò non pochi problemi di censura. Un unico tema musicale lega i tre brani successivi, nel complesso la sequenza più emozionante dell’intero album. Dissolvenze elettroniche introducono la decadente melodia pianistica di Sweet Thing, ballata che vanta una eccezionale performance vocale del nostro, impegnato a destreggiarsi tra bassi sepolcrali ed un falsetto a voce spiegata. La ritmica accelera progressivamente su Candidate, squarciata da lamentosi sassofoni, poi la melodia si risolve nella trionfale Sweet Thing(reprise) che piega su sé stessa in un caotico feedback. In accordo con la musica il testo è uno dei più tetri e disperati fra quelli scritti dall’artista: nella frenetica sequenza di immagini Cut-Up i riferimenti alla cocaina (“se la volete, ragazzi, cercatela qui/è qualcosa di dolce”…”ti piace congelarti il cervello nella tua tempesta di neve?”…”compreremo della droga/guarderemo suonare un gruppo/poi salteremo in un fiume tenendoci per mano”), a una distruttiva promiscuità sessuale (“ho dato tutto me stesso in un altro letto/su un altro pavimento/sui sedili posteriori di un’auto/in una cantina che sembra una chiesa con la porta socchiusa”), ai rischi che la notorietà comporta (“mi sto davvero divertendo con questa gente velenosa/che sparge dicerie, bugie e storie inventate”) e alla falsità delle proprie creazioni da palcoscenico (“la mia scenografia è fantastica/conserva persino l’odore di una strada/c’è un bar alla fine dove posso incontrare te e i tuoi amici”) lasciano trapelare il disgusto di David verso sé stesso e tutto ciò che lo circonda.
Un campanaccio a scandire i quarti, un basso che pulsa e un riff à la Rolling Stones che ha fatto scuola: Rebel Rebel, chiassosa celebrazione dell’adolescenza e dell’ambiguità sessuale (“tua madre non sa più se tu sia un ragazzo o una ragazza”) è un addio in grande stile al Glam Rock. Dopo Rock’n’Roll With Me, ballata pianistica venata di Gospel, si apre la sequenza dei pezzi che più risentono dell’opera di Orwell: il delicato tema elettronico di We Are The Dead, il Funk con tanto di archi e chitarra wah di 1984, l’epica e tenebrosa Big Brother, il nevrotico riff in 5/4 di Chant Of The Ever Circling Skeletal Family, che chiude l’album con l’immagine inquietante di un sabba post-nucleare.

Nel corso del tour promozionale David abbandona progressivamente l’ultimo retaggio di Ziggy, l’arruffata chioma rosso fuoco, per tornare ad un taglio più sobrio, biondo e vaporoso. Comincerà inoltre a darsi un tono indossando abiti di sartoria, in un progressivo avvicinamento all’ultima delle sue incarnazioni, il Sottile Duca Bianco.

Federico Fragasso
Federico Fragasso
Federico Fragasso è giornalista free-lance, non-musicista, ascoltatore, spettatore, stratega obliquo, esegeta del rumore bianco
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