Attenzione: questo articolo potrebbe suscitare sogni erotici e disturbi psicosomatici alla categoria dei chitarristi. Parlando di Marnie Stern è d’obbligo, perchè se al basso ci siamo abituati con Melissa Auf Der Maur, Kim Deal e la musa Kim Gordon, di eclettiche chitarriste ne abbiamo contate sulle dita di una mano. Marnie Stern compone, canta, suona e come se niente fosse si diletta nel tapping (pratica che consiste nel premere le corde con la mano destra sulla tastiera, al posto che pizzicarle a dita o con il plettro). Il pop rock molto ritmato, convulso, che alterna 4/4 a 5/4 e 7/4 sembra essere la dimensione ideale per la newyorkese. E’ una vera e propria chiamata alle armi, quella di Nithin Kalvakota al basso e di Kid Millions alla batteria, dato che per sostenere strutture compositive come queste è un lavoro a tempo pieno. Progressive? Math rock? All’orecchio salta più l’orecchiabilità delle canzoni, come Marnie begs on her knees e allo stesso tempo è la regina del disco: raggiunge acuti in sintonia col suo tapping, come se stesse bevendo un bicchier d’acqua. Alla fine sono canzoni studiate per essere tali: non sono basi di quattro accordi per assoli studiati e preparati da tempo, e non appaiono nemmeno come i classici dischi di esercizio per chitarristi in cerca del podio di Guitar Hero. Il sound rimane molto americano, ma influenza moltissimo il math rock europeo; se solo volesse alzare il gain del suo amplificatore, potrebbe mettere in seria difficoltà Kirk Hammett o Angus Young (Marnie Five5, traccia bonus, è una prova per impaurirli). Influenze psichedeliche e art rock si trovano in Year of the Gold, ispirata dai MGMT, per tutto il resto la centralità della chitarra guida le incursioni punk e pop. L’evoluzione del virtuoso è qui.