Fatta giusta economia per due o tre cosette da gustare lungo il viaggio, rompiamo gli indugi e partiamo. Ennesimo percorso attraverso il lungo e tortuoso sentiero folk, qui rivisto secondo la sua accezione primordiale. E se non è proprio di un disco estivo che qui trattiamo, non almeno nella sua più diretta configurazione, dal momento che, aldilà degli echi più o meno vicini alle vallate appalachiane e per i rimandi piuttosto espliciti all’uomo della montagna, le tre ragazzotte del Vermont, riunite appunto sotto l’epiteto Mountain Man, tessono una tela cucita in maniera sincrona con la soavità pastorale di Beach House e la ingenuità di Heidi in cerca della sua fiocco di neve. Made the Harbor insiste, ahimè, su un gigantesco muro, issato ormai anni orsono proprio da quelle parti, che ostruisce soluzioni ardite ed eureka da next big thing. Buffalo, Animal, White Heron, giusto per citarne qualcuna, hanno in nuce quel prezioso smaliziato di Isobel Campbell ma si perdono in una scrittura piatta e relativamente scialba, scevre di quanto già detto e ridetto in merito. How’m I Doin’ è esercizio di stile ma ne vien fuori un doo wop à la Lauryn Hill. Loon Song sa di cicca rimasticata, mentre Babylon e Mounthwhigs sono veri e propri canti liturgici. Non basta l’intimità low-fi che emana il suono di questo lavoro per impreziosire della mera bigiotteria. Insomma, semplice ed al contempo manierato, quanto basta a dir nulla.