I My Awesome Mixtape tornano a due anni di distanza da “My Lonely And Sad Waterloo” con il loro nuovo album “How Could A Village Turn Into A Town”, uscito per la 42 Records dopo la chiusura della My Honey, l’etichetta bresciana che aveva tenuto a battesimo i romagnoli, oltre ad altri gruppi tra i più interessanti in ambito indie pop, italiano e non solo, degli ultimi anni.
Il disco segna sicuramente un grosso passo avanti per la band capeggiata da Paolo Torreggiani, che riesce a scrollarsi di dosso l’etichetta di gruppo “indie per gli indie” che sembrava contraddistinguerla, con tanto di infinite discussioni, incensamenti ed accuse su siti e forum specializzati e con un tasso più o meno di coolness vera o presunta.
Non per questo si può però parlare di completa maturità raggiunta: le chiarissime influenze dei gruppi Anticon (Why?, cLOUDDEAD) rimangono ben presenti, così come i testi a tratti fin troppo adolescenziali (seppur comprensibili dati i soli 23 anni di età di Torreggiani), per esempio quando si canta la solitudine estiva in “Family Portrait” o in “Teenage Parties End In Tears”, chiara fin dal titolo.
I motivi che portano a parlare di passo avanti sono invece l’ampliamento dello spettro sonoro, che si apre ad altri mondi, vicini ma non così tanto a quelli già esplorati, e in generale un miglior songwriting, entrambi sintomi di una chiara voglia di migliorare e di portarsi su un livello differente, anche in risposta alle critiche subite in questi anni.
Ascoltando i dodici brani che formano l’album ci troviamo così su una sorta di montagne russe tra quello che i My Awesome Mixtape sono stati e ciò che potranno diventare. Si passa infatti da brani killer come “Hearts To Lend” o “”Me And The Washing Machine”, nati per far ballare, con richiami che vanno dai Moloko alla disco anni ’70 con tanto di fiati, a pezzi più legati al background “classico” della band, con incursioni hip-hop, come nella già citata “Family Portrait”, in “Mia Farrow” e in “Inner City” (i pezzi meno importanti, non a caso). I momenti più interessanti sono probabilmente quelli in cui si cerca una sintesi tra più linguaggi, come ad esempio in “How The Feet Touch The Ground”, con il suo crescendo elaborato e avvolgente, o in “My Moon”, che parte come un pezzo dei Rinocerose per poi aprirsi in un ritornello quasi powerpop praticamente perfetto.
Ora non ci resta che aspettare la completa maturazione del gruppo, con il passaggio da dischi “buoni” a dischi “ottimi”, che paiono alla loro portata già a breve.