Sono passati ormai 18 anni dall’uscita di “Spiderland” degli Slint, album quasi unanimemente considerato come il momento fondante del post-rock. In questi anni il genere ha subito evoluzioni grazie all’apporto di altre band seminali come Mogwai, Godspeed You! Black Emperor, Tortoise ed Explosions In The Sky, fino a raggiungere negli ultimi anni un punto di stallo da cui pare difficile uscire.
Il disco dei Nicker Hill Orchestra è una testimonianza di questa difficoltà nel trovare nuove traiettorie musicali per chi affronta oggi il post-rock. Non si può negare che l’ascolto risulti piacevole, con i giusti saliscendi emozionali, i vortici chitarristici (non a caso l’ultima traccia è intitolata “Vortex”) ora intensi ora più rarefatti, i momenti più heavy e quasi post-metal (in “Red”) e un cantato che affiora sognante e lontano a creare altre suggestioni, come accade in “Sailor”. Quello che però manca è la scintilla che accenda veramente l’ascolto, il passaggio che faccia risvegliare la curiosità verso i mondi sonori proposti. La sensazione è quasi sempre quella di aver già sentito quella particolare scala, quel crescendo o quella sfumatura di suono in uno dei dischi delle band citate prima o, per restare in Italia, nell’esordio dei Giardini Di Mirò.
Il quartetto veneto-emiliano non ha quindi particolari colpe, se non quella di essere arrivato fuori tempo massimo rispetto alla stagione d’oro del genere. Nel 2009 solo dei geni o dei pazzi visionari potrebbero essere in grado di creare qualcosa di nuovo in questo ambito. E non pretendiamo certo che i quattro siano l’una o l’altra cosa.