Nessuna gioia e il piacere è nell’attesa. Alla lettera, il ritratto del secondo album del duo femminile canadese è effettivamente fuorviante. Chi si aspettasse un lavoro intriso di cupezza e contrizione si troverebbe probabilmente spaesato di fronte a quello che, semplicisticamente, potremmo chiamare un album di “harmonic noise”, dato che il termine dream pop è stato usato spesso un po’ a sproposito.
Le No Joy, rispetto al precedente lavoro (recensito qui su Indie-Eye), rimangono fedeli a loro stesse, ma sanno andare saggiamente e piacevolmente oltre, prendendo anche le distanze da altri prodotti pur a loro vicini ma innegabilmente più standardizzati e comunque maggiormente votati all’elettronica.
Per capirsi, non siamo dalle parti di M83 o XX, ma nemmeno da quelle dell’ultimo (deludente) My Bloody Valentine (recensito qui su Indie-eye)
Le bionde di Montreal vanno più a fuoco nei pezzi, l’impianto di base è autenticamente rock, con la batteria molto più presente (dietro le pelli si siede Garland Hastings), in omaggio ad una ricerca più concreta dell’etereo, amplissima nei riverberi (assai curati) ma mai confusionaria o di pura atmosfera.
Infatti, convincono più che in passato quando viaggiano a ritmi più serrati (le brillanti e spedite Prodigy, Lizard Kids e Ignored Pets), sanno prendersi le giuste dinamiche all’interno dei pezzi (Hare Tarot Lies ha la melodia migliore e dosa benissimo sogno e concretezza sonora, Slug Night è efficacissima nel suo riff di chitarre ed è a tutti gli effetti un pezzo new wave) e soprattutto centrano il bersaglio nell’evitare il “carino”, anche grazie ad un uso della voce meno scontatamente soffusa ma maggiormente in primo piano.
Qualche eccesso di maniera permane nell’utilizzo di artifici elettronici, ossia in Blue Neck Riviera e nella superflua Pleasure, dopo la quale, però, le fanciulle azzardano una riuscita ballata (Uhi Yuoi Yoi), per certi versi non lontana addirittura da alcuni brani degli Wire.
Certo è che, pur nel loro minore blasone, le No Joy meriterebbero un pubblico anche maggiore di altre band affini e questo può essere il disco giusto, certamente immerso nello spleen ma pervaso da un’affascinante e sognante vitalità che può incontrare anche l’apprezzamento dei “non iniziati” al genere.