Secondo lavoro per i milanesi Orange, (N.D.R. il primo, Certosa, lo avevamo recensito da questa parte) duo composto da Francesco Mandelli e Chicco Buttafuoco. Si definiscono essenzialmente una live band, e le numerose date effettuate in lungo e in largo per la penisola (ben sessanta!) stanno lì a dimostrarlo. È indubbio che i ragazzi possiedano un discreto affiatamento: i pezzi sono ben suonati ed hanno il tiro giusto. Il problema sostanziale è che di dischi come questo, ossia garage rock moderno suonato con in tasca i santini di Strokes, White Stripes e Black Keys, ne è pieno il mondo: carino, sì, ti fa battere il piede ogni tanto, ma scivola via più liscio di un bicchiere d’acqua senza bollicine. Nell’inflazionatissimo ed iper-saturo panorama musicale italiano e internazionale, quanta longevità può avere un disco del genere? Ben poca, temo. Dispiace, ma è ora di cominciare a farseli questi discorsi: sicuramente dal vivo saranno coinvolgenti e divertenti (da un’occhiata su YouTube sembrerebbe proprio così) ma quando il pezzo che ti resta maggiormente in testa (I Don’t Like You Anymore) è un plagio spudorato di un brano a caso di Is This It, allora il problema è abbastanza serio. O forse no. Sta di fatto che, a parte plagi vari, quando gli Orange abbassano i ritmi e si rilassano un attimo tirano fuori dal cilindro una canzone eccellente come Big Shoes, sofferto blues dapprima spezzato da efficaci break di piano, poi chiuso da una coda epica e rabbiosa. Piace anche la conclusiva L’India è una potenza atomica, unico episodio cantato in italiano, con un approccio marcio e rock’n’roll che convince. È comunque poco per promuovere il disco.
