Quando viene in mente un bel titolo, è bene metterlo in conto a terzi che non si possono lamentare a riguardo. Capita così che l’espressione cartesiana subisca uno slittamento di termini e che la razionale deduzione del filosofo francese assuma la nuova forma di: Paletti Ergo Sum, nonostante qualcuno ritenga che sarebbe stato più appropriato un ego sum, considerata la scelta personalissima della copertina.
Chiacchiericci e pettegolezzi a parte, con Ergo Sum la staffetta iniziata nel 2012 con l’EP Dominus, giunge alla linea di traguardo. Dopo gli anni di militanza come bassista nei The R’s, (n.d.r. foto-intervistati a luglio 2011, qui su indie-eye.it) Paletti si cimenta nella sfida da solista ed esce col primo LP di debutto.
Un album che sembra volersi presentare come la logica conclusione dei ragionamenti che prendono le mosse da un passato forse nemmeno troppo lontano, l’epilogo di scene e atti decisamente paletticentrici. A ben vedere si può supporre che quel Cambiamento con cui si intonano le battute iniziali del disco, non sia solo un’auspicabile messaggio per la collettività che troppo spesso sbiadisce nella massa, quanto l’aspirazione individuale a trovare la benefica svolta nel corso del cose.
Così, disinvolto nell’indossare il vestito del cantautorato pop italiano, Paletti inanella pezzi in rapida successione, otto schiocchi di lingua rapidi e secchi senza troppi preamboli o manfrine. Dopo la cavalcata tribaleggiante di Cambiamento segue il levare di Portami via dal ritornello che suona come una liberatoria richiesta di aiuto. A ironizzare sui toni seri dei primi pezzi, seguono Senza volersi bene e Mi sono scordato di me, citazioni a metà fra Max Gazzè e Battisti per parlare di quanto sia inevitabile, alla fine di tutto, amare, e quando il cuore non basta, il richiamo a tale possibilità è tenuto vivo e aperto dal richiamo fisiologico. A partire da Angelina, il carattere dei pezzi muta e assume le sfumature pacate delle ballate lente.
Due caratteri o meglio due stati d’animo che riescono nella complicata impresa di ritagliarsi ciascuno un proprio spazio, riuscendo a convivere nelle gioie quanto nelle malinconie. Non è facile raccontare tutto questo senza scivolare nei piagnucolii da poeti maledetti e nelle tristezza preconfezionata. Paletti ci riesce; non cerca di impressionare con frasi ad effetto o metafore ricercate, ma scrive, canta e dice la sua con una semplicità vispa e sagace che lo caratterizza.