Come ogni cantante leader di una band navigata che si rispetti, o meglio che voglia farsi rispettare anche al di fuori del gruppo, anche Paul Smith, leader dei Maximo Park, approda al disco solista, cercando di dimostrare quanto possa valere nel sostituire la sua band in un disco a suo nome. La proposta non risulta legata così fortemente al gruppo di provenienza del leader, e sembrerebbe un concetto abbastanza ovvio, sebbene un recente e valido esempio del contrario sia stato dato da Brandon Flowers. Scordatevi l’appeal extraindie di Apply Some Pleasure, di Graffiti e dei seguenti lavori più ombrosi: in questo debutto l’intimismo prevale, in una forma-canzone molto differente, come fosse un piano lineare d’appoggio per tutte le liriche. Chitarra acustica, talvolta qualche arpeggio di elettrica, basso e tastiere a episodi e la batteria che quando si impone da un minimo di vitalità, sebbene circondata da un’atmosfera di sconforto, in stile Smiths. E sopra tutto e tutti, con una presenza irreale rispetto agli altri strumenti, da missaggio eccessivamente professionale, la voce di Smith, a declamare gli appunti di una vita tenuti nel cassetto e finalmente estratti per l’occasione d’oro. Che di oro placcato si tratta ce ne accorgiamo dopo. Il ruolo della superficie luccicante lo ricoprono Strange Fiction e North Atlantic Drift, richiami chiari agli I Am Kloot più composti e agli arpeggi dell’era IRS degli R.E.M., assieme alla più accattivante del lotto, Our Lady of Lourdes. La parte interna è priva di mordente, e non riesce nemmeno a essere suadente, a nascondere sotto l’apparenza di profondità emotiva uno stimolo che tocchi il cuore. Smith galleggia in un limbo, tra le tracce extra di un disco vero, chicche che non riuscirebbero a costruire altro che una raccolta per aficionados, e una rivisitazione acustica di bozzetti mai delineati concretamente, da non poter fare nemmeno uno Storytellers per intenderci. Mezzo fallimento.