Paladini della fervida ed assai creativa scena emiliana da quasi un decennio, dopo una manciata di ep premonitori ed un disco vero in carne ed ossa, tornano, a tre anni dall’ottimo It’ s all about to tell, i Phidge.
Questo We never really came back, per l’appunto, non ha però nulla di posticcio ed artato, a prescindere dal messaggio che il titolo sembrerebbe propinarci, ancorchè da un certo solipsismo incorruttibile che a certe cose ne può fare associare certe altre. Ed infatti, tra impareggiabili reminiscenze alternative comuni a gruppi come Silverchair (Blind diving, Card with a wish, Nobody tries) e Bush (Hot Water Beach, Graveyards, Door Selected) ed un imprinting post-rock localizzato tra i feedback di Swervedriver e Slowdive (Awoken, On the whole), pizzica (ma non brucia) una strana sensazione di acquiescenza radio-friendly, sagacemente ispirata alle frequenze delle emittenti college americane. Nulla di deprecabile, anzi, soprattutto se copiosa nelle forme e nella sostanza del minuto e quarantacinque di Invisible colors, putto satollo dell’Eros Depeche Mode a cui giustapporre le iridescenti idiosincrasie indie rock di Our lungs are blind, pregna com’è di tutta la fragranza british fresca e sbarazzina dei Kaiser Chiefs o, ancora, l’eufonia acclimatante della delicatissima @the end of the day, giusta chiusura per un ottimo disco. Trattare insomma la materia come va trattata! Sano, onesto e soprattutto davvero dignitoso, questo è un ritorno di cui possiamo rallegrarci, non v’è dubbio!