Ecco un disco per molti versi piacevolemente “spiazzante”. Un album che gioca con la geografia e lascia poche coordinate con cui orientarsi. Da Frascati al Giappone passando per la Siberia. Swords, nuovo album di Ralfe Band, è un viaggio (è in viaggio) e costringe l’ascoltatore a ricollocarsi tappa dopo tappa. Innanzitutto in virtù delle molteplici suggestioni che propone: country sgangherato, folk rurale e melodie est-europee. Sonorità che, per quanto sia abbastanza facile da riconoscere come “tradizionali”, in realtà risultano molto difficili da ricondurre all’unità di un’etichetta precisa. E già questo è senza dubbio un ottimo segno. In secondo luogo a spiazzare è Oly Ralfe stesso (animatore principale del progetto insieme a Andrew Mitchell) che attinge da tale panorama sonoro – tradizione americana ed est-europea – ma viene dall’Inghilterra. Onestamente non l’avrei detto ascoltando “Women Of Japan” o “1500 Years”, splendide e malinconiche folk songs che ricordano da vicino il Will Oldham più scanzonato (ma anche il Bill Callahan dei tempi migliori); così come non fanno certo pensare all’Inghilterra “Broken Teeth Song”, “Albatross Waltz” e “March Of The Palms”, brani che guardano a Est con violini e fisarmoniche in primo piano. Ma soprattutto ciò che è più spiazzante e straniante è la molteplicità di sentimenti contrastanti che Swords è in grado di suscitare: il riso, il sorriso e il pianto; gioia, serenità e rassegnazione. Il tutto in una centrifuga di suoni e colori che riconosciamo anche se non ci appartengono e che trascinano in luoghi lontani eppure stranamente familiari.
La Ralfe Band commuove nel senso etimologico del termine e sarebbe peccato grave non muoversi con lei.
Pubblica Talitres e distribuisce Wide.