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Richard Youngs – o’artoteca (Milano) 10 maggio 2008

ry.jpgCi son momenti in cui anche gli aggettivi non bastano, momenti in cui la forma, il chiaro-scuro, il bianco e il nero, il suono e il silenzio si fondono in un unico vibrare, quella sensazione che ti fa chiudere gli occhi perchè l’udito deve essere l’unica sensazione da mettere in gioco, unica guida a tutti i tuoi sensi.
Ambiente sottile,un ex deposito ferroviario dismesso al centro di Milano,quella Milano bene da cui con timore hai paura di uscirne a mani vuote tra quei locali di tendenza che di tendenza hanno solo il listino prezzi.
Un caravanserraglio al neon, ambiente asettico da architettura industriale, un piccolo spazio espositivo stato dell’arte in tutte le sue forme ed entità.
Niente palco, realtà confidenziale tra pubblico e artista, è così che inizia il primo tour italiano di Richard Youngs giovane chitarrista-polistrumentista di origine scozzese esteta del suono, ormai al suo diciottesimo disco per la Jagjaguwar.
Nel silenzio votivo di un pubblico devoto e intrigato dal carismatico assetto strumentale minimalista, una chitarra,un delay e la voce che diventa strumento essenziale di un percorso folk-progressive.
Si apre così un viaggio onirico che sfiora ogni sua fase creativa, dall’ultima uscita Autunn Response psichedelica meditazione sonora, giochi di arpeggi e sdoppiamento di voci, tornando a May e Ars of the Ear come un ritorno alla fanciullezza, a quella dolcezza di stile, una fragile intelaiatura di forme fatta di sperimentazione, silenzi, echi e riverberi.
Evocanti arcani ricordi di una vibrante e delirante malinconia in Sapphie, come una soluzione teoremica alla sua ricerca continua, dove la musica concreta arriva a sfiorare la pura semplicità maniacale, dove la voce diventa una ludica ricerca di spazio, strumento essenziale del suo avant-folk.
Un’emozione a tutto tondo dove ogni nota, ogni luce, ogni rumore di fondo diventa parte essenziale del tutto, dove il contesto si fonde con l’artista e ognuno di noi diventa artefice dell’arte.
Repertorio poliedrico che tocca ogni vissuto del suo crescere musicale tra chitarre distorte, melodici mantra vocali e la sua ossessiva ricerca continua della totale frammentazione della forma canzone.
Un’ora e mezza di catartica preghiera sonora come a dirci che la vera grandezza sta nella semplicità

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