Intorno ai Fiorentini Rio Mezzanino si sta muovendo un consenso da tener d’occhio, il segnale più evidente è l’attenzione che DEMO (RAI) ha dimostrato a più riprese nei confronti della band, stima concretizzatasi recentemente nella consegna del secondo premio DemoAWARD durante il MEI di Faenza. Antonio Bacchiddu (voce), Federica Fabbri (chitarra – voce) Oretta Giunti (batteria) Giuseppe Viesti (percussioni) e Leonardo Baggiani (basso) si costituiscono come Rio Mezzanino nel 1997 e producono una serie di cd-r e demo promozionali dal 2002 fino al 2006, anno di lavorazione per Economy With Upgrade, il primo full lenght che dovrebbe vedere la luce presumibilmente nel 2008 grazie agli sforzi di Danza Cosmica etichetta specializzata nelle varie derivazioni del folk e con un roster di band devote all’indietronica. Le tredici tracce di Economy With Upgrade confermano e allargano il prisma sonoro dei Rio Mezzanino in una concezione compositiva complessa e decisamente rara per una band Italiana, in questo senso, l’età anagrafica del progetto non è una semplice opzione, perchè di questo suono cosi preciso e per certi versi riconducibile ad un’immaginario western e crepuscolare è la stratificazione a fare la differenza. Oltre ai Calexico e all’anima torch dei primi Tindersticks, il dna alcolico dei Thin White Rope mi sembra una delle suggestioni più forti nonostante l’approccio sia diverso in termini di attenzione ai dettagli e agli arrangiamenti, nel caso dei Rio Mezzanino orientati verso una concisione pop piu marcata. Eppure brani come Arianna e la splendida Hand Searchin hanno molti elementi in comune con la poetica disperata di Guy Kyser, complice la voce ruvida di Antonio Bacchiddu a metà tra cartavetro, un free talking visionario e tutte le strategie necessarie ad un crooner navigato per catturare l’ascoltatore. Phoenix procede su elementi simili introducendo un Jazzin’ desolato e malinconico ammorbidito dallo sfondo vocale di Oretta Giunti e dal violoncello di Viola Mattioni in un territorio che non sfigurerebbe in una nuova produzione di OP8. Se fino a qui l’orecchio deve fare i conti con una rappresentazione del deserto legata in modo prioritario all’ipnosi di chitarra e voce, è con tracce come Lies e il country spiraliforme di White Bones che i Rio Mezzanino introducono un’economia pop-blues sofisticatissima in un contesto apparentemente urgente, cosi da evocare immagini di confine anche all’interno dello stesso genere di riferimento, un po’ come succedeva a Daniel Lanois quando era illuminato da idee semplici ed efficaci, e si inventava uno strano interregno tra il blues e un’ambient music (im)possibile. In un certo senso, nonostante si possano trovare riferimenti precisi, l’asse alt. country che procede da Rex fino a Red House Painters e tutta l’infezione sadcore o wave che attraversa le radici di certa musica è spazzata via da brani cristallini come la straordinaria Donkey, un crescendo drammatico che ha la stessa tensione e finalità orchestrale dei mantra di For Carnation. Winter Ghost recupera quel gusto del racconto country, chiusa compresa, contenuto in un bozzetto di apparizioni sonore e visive che si riverberano nella successiva A Dream, di nuovo il miraggio del deserto attraversato dall’estetica di Rio Mezzanino, qui con un occhio puntato verso i Can più concisi grazie alle percussioni di Giuseppe Viesti che trattengono e lasciano il cuore di questo brano semplice e bellissimo, intercapedine per il battito di Six Feet Under, ultima traccia di Economy With Updgrade. Un sole rosso, quello dei Rio mezzanino, che è più vicino allo spirito di Lee Hazlewood o al cinema di Monte Hellmann piuttosto che al solito genoma Morricone e che ci permette di conoscere fino in fondo il talento di una delle band più interessanti del panorama indipendente Italiano, capace di stabilire una connesione ideale con una cura produttiva fuori dai limiti della nostra angusta provincia.