Secondo album per i romani Saint Lips, che fa seguito all’esordio del 2008, Like Petals. Le coordinate sono rimaste tutto sommato le stesse: la band propone delle sonorità un pochino in disuso ai giorni nostri: si respira infatti aria di indie rock americano tipicamente anni 90, con umori e chitarre provenienti dalle tipiche college rock bands di Boston e dintorni (leggi Breeders, Lemonheads e affini). Dove là però erano evidenti i retaggi musicali debitori del proto punk alla Replacements, qui tale componente è quasi completamente bandita: difatti, non vi è nulla di punk nella musica dei Saint Lips, quanto piuttosto un’attenzione quasi maniacale al ricamo chitarristico, al tappeto corale, al gancio melodico di sicuro impatto. Così, la prima parte del lavoro fila via che è un piacere, tra nostalgie REM periodo Green (Saviour, Little Sister), efficaci escursioni in terra di Albione ( il baggy sound deviato e piacione della buona Summer Rain), sognanti melodie impreziosite dalla bella interpretazione di Valentina Barletta (Wake Up, 39 Stars). È qui che il gruppo gioca le sue carte migliori, sfuggendo a rigide catalogazioni, costruendo delle ottime canzoni fatte di contrasti, luci e ombre, delicatezze assortite. Nella seconda parte del disco, quando si cerca di irrobustire e rendere più rock l’ossatura dei brani, i Saint Lips mostrano un pochino la corda, appiattendosi su una “convenzionalità” non mostrata precedentemente: ne sono esempio lampante le varie White Fly, Angel, Land. Si torna su buoni livelli con Fertile, blues’n’roll caracollante in cui Tori Amos sembra jammare con i Grant Lee Buffalo. Per concludere: un buon lavoro, anche se a tratti discontinuo. Stiamo comunque parlando di un gruppo che sa giocare bene le proprie carte; basterebbe solo un pizzico di coraggio in più nell’insistere su un sound meno rigidamente “rock” e più chiaroscurale, come proposto nella prima parte del disco.