La posizione in cui si sono trovati i Field Music dopo la pubblicazione di Tones of Town non dev’essere stata delle più semplici. Quello che è a tutt’oggi il secondo album della band di Sunderland, se si esclude Write your own History, la raccolta di materiale pre Field Music che i fratelli Brewis hanno messo insieme, non riesce a cambiare il ruolo di una band di piccolo culto destinata ad essere sopravvalutata per la superficie geometrica e liscia del loro pop, e sottovalutata per la complessità di un songwriting decostruzionista ben nascosto tra le pieghe di brillanti arrangiamenti.
Asprezze di una scrittura che sta una spanna al di sopra rispetto a tutto quel revivalismo wave che gioca con le asincronie del ritmo senza rischiare niente se non la nostalgia. Questa distonia endogena alla band guida in un certo senso allo scioglimento temporaneo del progetto Field Music per permettere a chi ci ha creduto di tentare la strada in nuove forme di sperimentazione. David Brewis, chitarra e voce dei Field Music, si inventa School Of Language come moniker, e incide quasi tutto da solo le 11 tracce che compongono Sea From Shore, facendosi supportare per alcuni episodi dalla chitarra di Barry Hyde dei FutureHeads. Per chi conosce la discografia dei Field Music, il debutto di School Of Language è un’evoluzione radicale di tutte le intuizioni più sperimentali applicate alla retorica pop della band di Sunderland; non credo sia un caso la distribuzione Americana ed Europea dell’album curata da Thrill Jockey, il lavoro di Brewis in un certo senso si muove nel solco aperto e coltivato da Jim O’Rourke, con un impatto molto più potente in termini di elettricità e con la stessa percezione prismatica della struttura compositiva.
Rockist part 1 e 2 sono le prime due sezioni di una quadrilogia che suona come il dispositivo che informa un po’ tutto lo spirito dell’album; utilizzare elementi simili e spostarne le gerarchie, non si tratta di semplici alternate versions, quanto di giocare sulla percezione fratta e possibile di una struttura. Disappointement ’99 è uno schizoide attacco elettrico, che ha la rara capacità di cambiare direzione continuamente senza perdere solidità e compattezza; il contrasto tra il processo di decostruzione del brano e la sua persistenza comunicativa è molto più chiaro e creativo che nella produzione Field Music.
Brewis si spinge verso influenze più libere e meno ancorate alla fisiologia totally british che ha caratterizzato il suo modo di comporre, Poor Boy e This is no fun per esempio, si muovono tra il soul angolare del Daryl Hall prodotto da Fripp e un disco-funk elettrico che cambia le carte in tavola, e se Extended Holiday apparentemente ha un attacco che mira all’effetto, è l’ennesima dimostrazione di come il cristallo di School Of Language sia capace di mostrare le facce di un talento notevolissimo nel far convivere arrangiamenti, diramazioni complessissime e inafferrabili in un guscio che le contiene solo per un’abile combinazione di bussolotti o di carte.
Un brano come Ships, episodio assolutamente centrale e titolo provvisorio dell’album, è una complessa sinfonia di idee lanciata contro un piccolo e brevissimo episodio che libera la chitarra e la voce di Brewis in una stimolante improvvisazione freeform. Sea From Shore è un album notevole, immediato e difficile, incapace di stancare dopo ascolti ripetuti, totalmente al di fuori da quel morbo culturale che preferisce il riciclaggio ad una libera interpretazione del tempo.
L’album esce il 4 febbraio sul mercato inglese per la solita Memphis Industries, mentre Thrill Jockey si occuperà, dal 5 febbraio, della distribuzione USA e Europa. Per approfondire, oltre al profilo myspace di School of language, dove è possibile ascoltare alcune tracce dell’album, l’intervista che David Brewis ha concesso a Indie-eye e Il Podcast prodotto da Indie-eye e realizzato insieme a David Brewis , disponibile da questa parte; si tratta di una session di 25 minuti dove David suona e racconta, letteralmente, il suo nuovo CD.