Di Scott Matthew, cantautore australiano e newyorkese d’adozione, si potrebbero raccontare diversi aspetti, uno su tutti quello sulla sua omosessualità, vissuta in maniera talmente distinta e – azzardiamo, con portamento decadente – da renderlo una affascinante icona gay negli ambienti alternativi sessualmente liberi (svincolati tanto da pregiudizi quanto dalle solite ovvietà). Non a caso, troviamo alcune sue canzoni in uno dei film indipendenti più gay friendly che siano mai stati regalati al pubblico, quel Short Bus in cui recita un altro suo collega, Jay Brannan, anch’egli bandiera del nuovo cantautorato a tematica lgbt. Scott Matthew, però, è tutto fuorché l’emblema dell’omo-geneità, piuttosto, rappresenta quel senso di disagio che assale chi non riesce ad incastrarsi nel puzzle delle categorie a priori, quelle delle lobbies, per intenderci. Barbuto, dalla voce androgina e signorile allo stesso tempo, canta l’amore come un teenager in preda alla prima delusione amorosa, ma lo fa con vocalizzi degni del miglior David Bowie, al quale – in tanti – lo hanno spesso accostato. Ora, torna con questo Gallantry’s Favourite Son per dire al mondo che la sua situazione sentimentale è ancora instabile e quindi, per mostrare i suoi quadri sonori dove anche l’immagine più colorata sfuma sempre verso il nero: “I’m a little black bird/ Nestled in the dark”, apre così in Black Bird, la prima traccia di questo meraviglioso LP, dove i backing vocals si sposano in maniera sublime col violoncello, strumento imperativo nella sua discografia. Gli archi toccano sempre tonalità sommesse e insieme alle ottime liriche, costruiscono scenari talmente dolenti da far impallidire il Marcel Proust di Sodome et Gomorrhe. Con Felicity si cambia eccezionalmente registro, forse grazie all’ukulele che Scott Matthew sfrutta sempre divinamente: peccato però che anche qui “Felicità” sia solo il nome di un’amica ricordata il giorno del suo compleanno e non un inno alla contentezza (sebbene il gioco di parole sia comunque dietro l’angolo). È evidente l’assenza di un pezzo à la Abandoned, una delle migliori canzoni nella discografia del cantautore ma questo non è un problema, qui gli spunti sono ben altri, c’è tanto amore per il vintage come testimonia la ballata barocca Buried Alive e le atmosfere altrettanto ampollose di Sinking, e pure la splendida The Wonder Of Falling In Love, sorprende, chiamando in causa il Burt Bacharach più impegnato. Come dicevamo, c’è una certa cura per quanto riguarda i testi, mai passati al setaccio, mai privati della loro vena suicida, ma i testi da soli non fanno l’opera d’arte: il binomio perfetto è costituito altresì dalla voce, una voce che rasenta il pianto, un pianto tollerabile, la cui variazione cromatica racconta gli aspetti negativi e quelli più sarcastici della sofferenza umana, dovuta alle pene d’amore.“Today is the first day/ Of another life/ It may be just as tragic/ But at least it’s mine”, quasi a volersi giustificare, forse perché conscio di non essere quello che la massa considera un individuo “regolare”. Noi non possiamo fare altro che augurare a Scott Matthew di trovare una definitiva stabilità sentimentale e lo facciamo mettendo da parte quell’egoismo di chi sa bene che senza quel pizzico di sofferenza, difficilmente nasceranno altre perle come quelle che ci ha regalato finora.