Gli Scumbag Philosopher sono una band inglese, sorta dalle ceneri dei Fuck Dress, che con questo It Means Nothing So It Means Nothing fa il suo esordio nell’affollato mercato musicale indipendente d’Oltremanica.
Tra i tanti esponenti del post-punk revival, ondata musicale che pare non finire mai, dato che dal 2003 non sembra aver perso molto appeal, gli Scumbag Philosopher, guidati da Adam Green (solo omonimo del genietto americano ex-Moldy Peaches), puntano la loro attenzione su suoni e gruppi rimasti un po’ in ombra tra i tanti recuperi a cui abbiamo assistito. I primi nomi che vengono in mente ascoltando le nove tracce dell’album sono infatti quelli dei The Fall e degli Wire. Dai primi Adam e compagni prendono il cantato declamato/stonato e l’ironia nei testi, dalla band di Pink Flag alcuni spigoli chitarristici e le melodie spezzate punkeggianti.
Quello che potrebbe essere uno spunto di originalità rispetto alle band contemporanee diventa però un limite, perché i due gruppi appena citati sembrano essere molto più di un’ispirazione per gli Scumbag Philosopher: in più di un brano l’impressione è quella di ascoltare delle copie-carbone delle declamazioni di Mark E. Smith, così come della chitarra di Colin Newman. Per di più, tutto questo è al servizio di canzoni non particolarmente riuscite; in caso contrario avremmo anche potuto chiudere un occhio, in questa occasione non ci resta invece che aspettare la fine del disco (non molto distante, dato che dura 28 minuti) per mettere nel lettore 154 o Hex Enduction Hour, cercando nel frattempo di salvare il salvabile.
In questa categoria possiamo inserire il singolo tra Nietzsche e alternative rock God Is Dead So I Listen To The Radiohead, che graffia sia con le chitarre che con il testo, e la caracollante Scumbag Philosopher, che attacca senza mezzi termini una certa tipologia di ascoltatore indie, oltre probabilmente a critici come il sottoscritto…