Seabear è il progetto principale del musicista islandese, nonché polistrumentista, Sindri Már Sigfússon. Dapprima nelle grazie della teutonica Tomlab che gli pubblicò un singolo nel 2005 (uno split 7” in compagnia dei Grizzly Bear, all’epoca lontani dall’hype dei giorni nostri), alla fine Seabear si è accasato presso Morr Music, un’altra etichetta tedesca, dando alle stampe un album d’esordio notevole – The Ghost That Carried Us Away (2007) – e destinato a passare tristemente inosservato. Forse anche per questo, chissà, l’anno seguente Sindri sceglie un nuovo moniker (Sin Fang Bous) e decide di arricchire la personale formula indie-folk fatta di strumentazione prevalentemente acustica, arrangiamenti essenziali e melodie sognanti, con abbondanti innesti di elettronica: Clangour è il titolo del nuovo album (recensito qui su IE) e il risultato, per quanto ancora personale e riconoscibile, è decisamente più vicino al suono che ha reso celebre l’etichetta berlinese. Questa volta si accorgono di lui e l’album ottiene buoni riscontri. Insomma, non era azzardato ipotizzare una fine prematura del progetto Seabear, quando ecco che giunge la notizia dell’uscita di questo nuovo We Built A Fire… e per fortuna. Già al primo ascolto l’album si rivela come la cosa migliore che sia mai uscita dalla penna del giovane islandese che, con il nome originario, recupera oggi anche il suono acustico accentuandone nuovamente il lato dreamy. La band dà un apporto maggiore rispetto all’esordio, insistendo maggiormente sui cori e sulla sezione ritmica, per un risultato finale che suona più immediato, incalzante e pop. Ma sono soprattutto le melodie cristalline e accattivanti a fare la differenza: ritornelli ispirati e contagiosi, leggeri e venati di malinconia. Se l’avete ignorato fino adesso… questa volta proprio non potete.