Le regole sono semplici. Nulla di trascendentale. Ci si ferma quando il lettore non ne può proprio più. E di Fantasurreal del collettivo Setting Sun capitanato dal versatile quanto geniale Gary Levitt, il mio lettore non ne può davvero più. Per cui mi fermo, ma solo per una pausa. Non foss’altro per la smisurata voglia che ho di tuffarmi ancora nella vivacità di melodie che si lasciano fischiettare, ballare, tamburellare con i polpastrelli sulla tastiera. Maledettamente accessibile e di straordinaria fattura, Fantasurreal è infatti un prezioso monile che costringe i proseliti più accaniti a bulimiche scorpacciate mentre furbo tenta di imbastire delle trappole anche per scettici ed iconoclasti. Nessun post-modernismo, si badi, ma quarta prova più che convincente per Levitt&soci, qui abilissimi a levigare un piano obliquo con talento e quel po’ di malizia che occorre a farti rilassare nelle amenità solari di un immediato antifolk mentre ti rigenera con il refrain giusto di sane galoppate rumour, mai scontate e davvero credibili. Credibili, appunto, come i sintetizzatori sci-fi di Driving o le suadenti nuances acustiche (impreziosite dagli archi di Erica Quitzow) di Make you feel, Don’t grow up e Sacrifice, a cui si perdonano persino le moine mainstream, in cambio però dei giochi di luce di Into the wire e One time around, le stravaganze di The sympathetic CEO o la rapsodia esotica della strumentale I love mellotrons. A metà tra i Wolf Parade ed un Barrett giocoso. Un omaggio all’estro chiaro-scuro di Beck ed alla follia lucida di certa avanguardia pop. In Handsome Bride sembra risentire addirittura l’eleganza di Roman Candle del compianto Elliott Smith orchestrata a dovere per riscaldare l’anima con i raggi di quel sole che speriamo davvero non tramonti mai sopra i nostri.
