martedì, Novembre 12, 2024

Sharon Van Etten – Tramp (Jagjaguwar, 2012)

Quattro anni fa le registrazioni casalinghe di Sharon Van Etten, maturate successivamente nel primo disco Because I Was in Love, giravano a fatica nel web e gli appassionati di “cantautorato al femminile”, per usare un’espressione alquanto agée, le trafficavano come perle nascoste nel brulichio indipendente di Brooklyn. Qui Sharon, spronata dal buon Kyp Malone, iniziava a comporre e collaborare con un buon numero di artisti piccoli e grandi (galeotta l’apparizione sul fortunato Hospice dei The Antlers), guadagnandosi una reputazione di amichevole compagna, un po’ indifesa e malinconica dietro ai suoi occhioni e dentro le sue storie di amori per lo più asfittici o spezzati. Il suo cantautorato esile e sofferto, tutto costruito attorno a una vocalità duttile, dai toni nostalgici, ha subito una prima metamorfosi con l’ottimo Epic (2010), lungo poco più di un EP, ma ricco di spunti pop-rock dalle inedite sfumature scanzonate (One Day su tutte) accanto alle ormai distintive tirate più intimistiche. Tramp arriva su Jagjagwar ed è già una dichiarazione d’intenti: registrato nello studio-garage di un Aaron Dessner (The National) in veste di produttore nei momenti di pausa tra un tour e l’altro, l’album vede la partecipazione dello stesso Bryce Dessner, Julianna Barwick, Zach Gordon (Beirut), Jenn Wasner (Wye Oak), Matt Barrick (The Walkmen) e Thomas Bartlett (Doveman). Una squadra nutrita a servizio di una seconda trasformazione, nulla che snaturi l’animo inquieto della formula-Van Etten (Kevin’s potrebbe essere il vero punto di raccordo con le incisioni più lontane nel tempo), ma uno sconfinamento a tutti gli effetti in un suono più pieno e corpulento, trainato dal singolo Serpents, in cui la voce dolcemente neniosa di Sharon si piega a un rock più concitato, dominato dalla batteria di Barrick e da elettriche sferzate che accompagnano parole di vendetta e disillusione. Stessa storia nella splendida Give Out, che giunge dopo l’attacco un po’ dimesso e generalista di Warsaw, declamando dure parole in cui è facile rispecchiarsi (“You’re the reason why I’ll move to the city/you’re why I’ll need to leave”), ritrovando uno spaesamento empatico come ne sapeva regalare lautamente Cat Power. Il mal d’amore trionfa anche nelle cesellature folky di Leonard, di nuovo improntata alla nenia, ma stesa su un letto di sornioni ukulele, gli stessi che rendono We Are Fine il pezzo più vivace del disco, con quel misto di serenità e commozione che anima certi pezzi di Scott Matthew (Leggi la foto-intervista su indie-eye.it). La voce di Gordon accompagna Sharon nel decantare una terapeutica presa di coscienza (It’s okay to feel/Everything is real/Nothing left to steal/Cause we’re al right), che consegna il disco a un’ulteriore, sinuosa sfumatura di positività con l’ammiccante marcia di Magic Chords. La struttura del disco, concepito con una sezione centrale ricca e contornato da pezzi che sembrano un po’ andare per conto loro, chiede alla voce di Sharon di tenere insieme il tutto, vagabonda (in compagnia) alla ricerca di un ascoltatore volubile, capace di apprezzare il suo sforzo di peregrinare nei territori di un cantautorato che si vuole sofferto, ma cui piace ancora nascondersi dietro le più umane delle debolezze.

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Sharon Van Etten in rete

Produced by Aaron Dessner

Tracklist

Warsaw  | Give Out | Serpents  | Kevin’s  | Leonard  | In Line  | All I Can  | We Are Fine  | Magic Chords  | Ask  | I’m Wrong | Joke or a Lie [/box]

 

Giuseppe Zevolli
Giuseppe Zevolli
Nato a Bergamo, Giuseppe si trasferisce a Roma, dove inizia a scrivere di musica per Indie-Eye. Vive a Londra dove si divide tra giornalismo ed accademia.

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