Palude, rocce ricoperte di verde muschio, una palafitta sullo sfondo, acqua torba in basso e un cielo dello stesso colore. Questa è la copertina di A Cave, A Canoo, ma anche se fosse stata diversa qualcosa di simile sarebbe capitato nella mia mente durante l’ascolto dell’ennesimo lavoro di Shelley Short. Come un’alba (di 35 minuti), dove non si è fatto ancora giorno e la notte non è ancora trascorsa del tutto, come il dormiveglia e la visione annebbiata del mondo circostante. L’influenza di Portland si fa ampiamente sentire in ogni parte, sia nei suoni delicati e suadenti che nelle melodie vocali da canto popolare del XXI° secolo. Le canzoni sono volutamente lente e scarne: manca la sezione ritmica, ma l’eco naturale degli strumenti, prevalentemente acustici, riempie e completa il tutto. A Cave, A Canoo è un disco d’esperienza e d’artigianato, ma sentito con passione; le liriche non saranno eccelse, ma c’è poco da dire di fronte a un’alba.