Il recensore appagato grida spesso al miracolo, lo fa soprattutto per condividere con gli altri il proprio esclusivo goût d’oreille, spesse volte con saccente arroganza. Nel caso di Silvia Leoni, riconoscere il prodigio è un dovere che trascende qualsiasi appetito personale. Proprio per questo motivo, esprimo un mea culpa e recupero soltanto ora le centinaia di ascolti che sarebbero scaturiti dalla pubblicazione di questo disco fino ad ora. Non è l’apologia di un esordio di fatto sensazionale, piuttosto, non posso fare a meno di far notare quanto siamo distratti dal surplus sonoro che ricopre le produzioni musicali mainstream e di tante presunte indie. In questo disco c’è il senso della nudità, di quella forma minimale (ma non per questo tediosamente lineare) di un discorso musicale che vale al di là della solita accozzaglia di suoni forgiata dai maestri del purismo del suono. Per rendere il discorso più semplice, evitiamo innanzitutto qualsiasi accostamento (almeno per ora): Il funerale della ninfea è un disc-orso a se stante che nasce dall’esigenza, non di riproporre una lezione assimilata nel campo del cantautorato tipico, quanto dalla necessità di librare in musica parole di quotidiana normalità che proprio per questo assumono un valore ancor più attendibile. Tre pezzi in italiano, uno in francese ed uno in inglese per un totale di sei tracce, di cui una strumentale (Coda), sono abbastanza per comprendere la bravura di Silvia Leoni e la collaborazione funzionale messa in atto con i suoi compagni di etichetta: la Guerra delle Formiche e Morning Opera, anche loro facenti parte della copyleft netlabel Sub Terra (alla quale bisogna riconoscere il merito di incoraggiare la condivisione virtuale e gratuita di nuovi artisti, come mezzo di promozione solidale ed autentico). Gli archi di Coquelicot (al secolo Eleonora Stassi) accompagnano la voce sporgente ed ottimistica della cantautrice di Sutri (VT), firmando, senza eccedere, le canzoni che Silvia Leoni teneva chiuse nel cassetto, senza troppe attese. C’è un’attitudine ironica nell’esprime il senso di quelle parole essenziali che vengono pronunciate su lievi accenni di chitarra; a tratti si potrebbe auspicare un futuro da cantautrice anti-folk in perfetto stile Sidewalk Cafe. L’Amour Fou, ad esempio, è puerile negli accordi, festosa nel ritmo, eppure, questa fiducia viene placata da quel laconico “le rose non sono più color vermiglio” che lascia l’amaro in bocca. Diverso il discorso per l’italiana La Redenzione che cammina e si spande su territori più comuni, con qualche comprensibile mano tesa alla Carmen Consoli di Quello Che Sento. L’altra perla in lingua straniera, Mary Says, ci svela come potrebbe essere un’anglofila Elisa senza le (sovra)produzioni manierate dei suoi pezzi, senza dubbio la vera highlight dell’EP. Nella breve poesia di In Questo Momento, Silvia Leoni rinasce “dal tepore dei sogni” accomiatandosi con le sempre più rade parole delle ultime due tracce, tracce nelle quali il suono a volte stridente di viola e violoncello inghiotte le altre funzioni musicali, riprendendosi il proprio doveroso spazio. È possibile scaricare il disco gratuitamente andando sul sito della Sub Terra, oppure, ordinare una copia del supporto fisico che vi intratterrà, non soltanto attraverso la musica: l’artwork, infatti, è composto da un’immagine ad incastro basata su un disegno nostalgico, tanto quanto la musica di Silvia, un’immagine abbozzata che racchiude il senso dell’intero lavoro. Due figure “nude”, rappresentazioni del giorno e della notte, per un disco che saprà tenervi compagnia – con dolcezza – durante l’arco dell’intera giornata.