A No Paint On The Wall, nuovissima uscita degli Spiral69, si può guardare come ad un puzzle, una trama che ricostruisce lentamente il percorso artistico del frontman Riccardo Sabetti, in maniera inversa, oltretutto.
No Paint On The Wall viene presentato come elaborazione più oscura, asfittica, della formula che Sabetti (Pixel, Argine) aveva sviluppato in Filthy Lesson For Lovers, in realtà, il nuovo album è molto di più.
Oltre ad esser il primo album degli Spiral69 interamente concepito in collaborazione con Licia Missori (piano), Stefano Conigliaro (batteria) ed Enzo Urso (chitarre) che affiancano Sabetti nella scrittura e nell’arrangiamento, No Paint On The Wall è un disco poco prodotto e, allo stesso tempo, brulicante d’influenze, spunti, derive.
Andrea Ruggiero (RossoFuoco, Operaja Criminale, Spiritual Front ecc.) impreziosisce il sound degli Spiral69 con intarsi d’archi assolutamente pregiati, Sabetti al contempo cerca una forma alla sua voce, come di un approdo e un’origine, intanto la band Romana sviluppa una sua poetica, tutta imperniata sull’amore (meglio, le relazioni), sull’erotismo e la sofferenza.
Ad uno sguardo più approfondito, nei brani di No Paint On The Wall, sembrerà di cogliere un filo narrativo, una trasformazione del suono che parte, impeccabilmente, da Collecting Lies.
Il brano d’apertura, certamente più moderno nella concezione, si fregia d’intarsi di batteria vagamente industriali e di un certo appeal torbido-sensuale alla Placebo (gli Spiral 69 nel 2010 sono stati invitati da StevenHewitt ad aprire i concerti dei Love Amongst Ruin) una disperazione, dunque, disinnescata, che consente al brano di essere pur sempre godibile, leggero e di ottimo impatto.
Cold, il primo singolo, conquista soprattutto grazie agli archi, la melodia è ottima, malinconica e orecchiabile, la voce, a tratti, sembra accostarsi a un universo musicale differente da quello dei capitolini,vengono in mente Deftones e A Perfect Circol, strano, ma il risultato è coerente.
Berlin è il primo punto di svolta, parte citando il Neo Folk (come i concittadini e amici Spiritual Front in Armageddon Gigolò) ma si trasforma presto in qualcosa di differente, quando il delicato giro di piano della Missori viene quasi agganciato da chitarra e, specialmente, basso, lo spettro dei Cure, in questo caso Wish, comincia a palesarsi, assieme, un ricordo.
Everyone Has Someone To Hate è un brano più tirato, buono l’utilizzo espressionista-patetico della voce, interessante il finale melodico. Ethon II si direbbe un tributo al Reznor di The Fragile mentre Beautiful Lie al tardo Peter Murphy pure epurato dagli opinabili eccessi pop d’antan.
Veniamo alla Title Track, No Paint On The Wall mette subito in gioco buone chitarre, basso e batteria, tutto immerso nell’atmosfera satura di effetti, reverse onirici e quant’altro, ecco la prima occorenza dell’incanto, sono proprio i vecchi tempi, quelli belli, non quelli dei superstiti ancorati alla propria anzianità, ancora, per gradire, i Cure. The Girl Who Dances Alone si avvale del Featuring di Tying Tiffany (gli Spiral69 hanno aperto il 10 Febbraio a Roma proprio il concerto dell’artista elettronica), collaborazione che, oltretutto, conferma la nuova direzione intrapresa dalla padovana riguardo la personalissima concezione stilistica e musicale.
The Girl Who Dances Alone ricorda i featuring di Molko e Argento solo da un punto di vista estetico, in realtà la canzone è un po’ confusa, probabilmente per via del reciproco rispetto dei due artisti che non hanno voluto orientare più di tanto il brano verso uno dei rispettivi stili. Love Is For Lovers si avvale di splendidi archi ed una chiusura melodica pregevole. Anche Best Porno richiama il Neo Folk e la scena romana attinente, il tema è erotico, il nome stesso della band è stato tratto da un film Hard. Con sincerità, Bleeding Through, ottima chiusura, sembrerà a molti il brano migliore. Coinvolgente, onirico e rotondo al tempo stesso, Bleeding Through sviluppa un nuovo ambiente per la voce di Sabetti, completamente trasfigurata, straniante. Lo spettro si è installato suppergiù ai tempi di Disintegration. A questo punto il ricodo è lucido: “Nel 1992, di ritorno da un concerto dei Cure, Riccardo Sabetti scoprì che non avrebbe avuto un futuro ordinario”, probabilmente lo pensa ancora, solo che adesso può spiegarlo anche al contrario, partendo dalla contemporaneità per raggiungere le origini. Una costruzione di senso che, chiudendosi al suo principio, raggiunge un certo livello di libertà.