domenica, Settembre 8, 2024

Steve Wynn, ogni sera suono quello che mi ispira

Hai appena realizzato Up There – Home Recordings 2000-2008, in cui è possibile trovare demo e sessioni varie che hai registrato nel tuo studio casalingo. Cosa possiamo trovare sull’album? Come hai scelto le canzoni da inserire?

Ho sempre registrato a casa, fin dall’inizio con i Dream Syndicate. Mi è sempre piaciuto lavorare così, cambiare le canzoni pensandoci su in questo modo; ho sempre considerato il lavoro in solitudine, nella propria casa come necessario nel processo creativo, provare a suonare una canzone, trovare le armonie, suonarla alla tastiera per capire cosa sto cercando. Ho fatto tantissime registrazioni di questo tipo negli ultimi dieci anni, cose che poi sono finite in Here Come The Miracles, Tick Tick Tick o nel Baseball Project, e ho deciso di tenere queste registrazioni. Uno dei miei dischi preferiti è Scoop di Pete Townshend: sono un grande fan degli Who e mi piace avere la possibilità di ascoltare come Pete scrive le sue canzoni, come sono nate nel momento stesso in cui lui ha avuto l’idea iniziale per la scrittura. Volevo avere anch’io un disco come quello ed ora eccolo. Ci sono canzoni tratte da tutti i lavori che ho fatto negli ultimi dieci anni.

Uno dei progetti che hai citato è il Baseball Project. Da dove è arrivata l’idea di cantare canzoni esclusivamente sul baseball?

È stata un’idea un po’ folle, una cosa a cui ho pensato per molto tempo. Ci sono molte cose a cui uno pensa e che poi non riesce mai a fare, succede a tutti e succede anche a me. Poi ho incontrato Scott McCaughey a un party organizzato dai R.E.M. nel 2007. Lì scoprii che anche lui aveva la stessa idea di fare canzoni sul baseball. Allora gli dissi semplicemente: “ok, facciamole”. E l’abbiamo fatto, ci è piaciuto molto perché è quello che amiamo fare, suonare con degli amici. Il progetto è diventato abbastanza famoso negli Stati Uniti. È una band molto divertente per me, perché mi permette di fare cose particolari e che solitamente non farei mai, come suonare prima delle partite negli stadi e incontrare giocatori di baseball.

In Europa come ha reagito il pubblico invece?

In modo terribile! Nessuno voleva saperne nulla! È abbastanza frustrante questa cosa, perché viene visto come qualcosa di legato solamente al baseball e a volte la gente ha uno sguardo strano quando suono quei brani. Invece bisogna considerarle come normali canzoni. Non devi essere un fan del baseball per ascoltarle, parlano di leggende, narrano storie. Le canzoni del Baseball Project riguardano temi universali, problemi di uomini come diventare vecchi e perdere smalto, la difficoltà di essere apprezzati e capiti. Sono cose a cui tutti possono relazionarsi e penso che il Baseball Project dovrebbe essere popolare e che un giorno riuscirà ad esserlo.

Nel 2009 hai fatto una serie di concerti in cui interpretavi canzoni di Bob Dylan, realizzando anche un CD con alcune canzoni. Hai mai pensato di fare la stessa cosa con altri musicisti, come Neil Young, i Velvet Underground o altri che ti piacciono?

Sì, ci ho pensato. Probabilmente non lo farei con quelli più ovvi che hai citato, cioè Young e i Velvet. Mi piacerebbe per esempio Warren Zevon, che è uno dei miei songwriter preferiti, oppure John Cale, sarebbe bello anche quello. Posso pensare di farlo in futuro. Bob Dylan era così ovvio, perché è il linguaggio che tutti parliamo, ogni musicista ha un debito verso Bob Dylan.

Fabio Pozzi
Fabio Pozzi
Fabio Pozzi, classe 1984, sopravvive alla Brianza velenosa rifugiandosi nella musica. Già che c'è inizia pure a scrivere di concerti e dischi, dapprima in solitaria nella blogosfera, poi approdando a Indie-Eye e su un paio di altri siti.

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