venerdì, Novembre 22, 2024

Still flyin’ – Never Gonna touch the ground (Moshi Moshi – 2009)

Numerosissimo combo di San Francisco (15 persone di base, con infinite partecipazioni durante i live), gli Still Flyin’ ci portano all’interno di una vera e propria festa, che si dipana lungo i 10 brani del loro “Never Gonna Touch The Ground”, grazie ad un riuscito mix tra ritmi in levare dub-ska e melodie e chitarre di chiara matrice indie rock, con cori alla Architecture In Helsinki. Esperimento che potrebbe sembrare azzardato, ma che si rivela assai convincente, sulla scia per esempio dell’ondata newyorkese capitanata da Vampire Weekend e Yeasayer, con un’attitudine più casinista e party-oriented rispetto a questi ultimi.
A guidare il supergruppo (con membri di Love Is All, Ladybug Transistor e Aislers Set tra gli altri) in questa stramba avventura è Sean Rawls, trapiantato nella baia da Athens, in Georgia, dove suonava onesto indie rock in band come i Masters of the Hemisphere o i Je Suis France. L’ispirazione per la nascita della band, secondo la biografia ufficiale, viene dalla scrittura del brano che apre e dà il titolo al disco, 2 minuti di pura allegria, grazie a una perfetta base rocksteady e a cori spensierati. Ciò che segue è assolutamente caleidoscopico e rutilante, a partire da “Following The Itinerary”, dove il dub si scontra con gli Architecture in Helsinki, passando per “Forever Dudes”, al crocevia tra ska giamaicano alla Hepcat e i Flaming Lips, fino ai sette minuti di “Good Thing It’s A Ghost Town Around Here”, anche questa tra il gruppo di Cameron Bird e poliritmie che spaziano dal dub agli Animal Collective per poi sfociare in una jam in levare. Jam che prosegue, come è chiaro fin dal titolo, in “Act Of Jamming”, per poi lasciare spazio alla breve e nervosa “The Hottchord Is Struck”.
Nella seconda parte del disco le suggestioni etniche diminuiscono, restando comunque sullo sfondo, come ad esempio in “No Go Kart Ideas”, con un paio di crescendo che potrebbero ricordare gli Arcade Fire, o in “Haunted”, in cui si alternano chitarre indie anni ‘90 e fiati tra ska e big band. C’è anche spazio per un brano in cui rilassarsi, cioè “Dead Memory Man Houses”, ballata indie abbastanza classica, prima della fine del party, affidata a “Aerosmith Take Me…”, dalle parti dei Vampire Weekend, con quel tocco di vita in più dato dai fiati che spuntano qua e là. Una gran bella festa, lasciatevi invitare.

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Fabio Pozzi
Fabio Pozzi
Fabio Pozzi, classe 1984, sopravvive alla Brianza velenosa rifugiandosi nella musica. Già che c'è inizia pure a scrivere di concerti e dischi, dapprima in solitaria nella blogosfera, poi approdando a Indie-Eye e su un paio di altri siti.

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