You explain too much, si sente dire a Jon Barthmus in New Movements, ed è un pò la sintesi di quello che vuole essere Soft Fall, il secondo disco della formazione di Philadelfia. Soprattutto se quello che viene spiegato è male interpretato. Tutti questi accostamenti con gli Animal Collective pongono l’ascoltatore in un pregiudizio inutile e soprattutto falso. Merriweather Post Pavillion alla mano, i due episodi a distanza di tre anni non hanno tutta quella carica attrattiva che gli viene posta. C’è sicuramente un’influenza forte, ma quella che penso abbia toccato tutti gli artisti legati al pop indipendente (e menomale che così è stato). I Sun Airway si legano invece a un dream pop di matrice più classica, senza nemmeno provare a echeggiare le palme (citate invece nel titolo di Wild Palms) e le spiagge sudafricane del Collettivo o dei Vampire Weekend. La loro è una pillola ben dorata, levigata all’esterno, piacevole alla vista e al gusto. Il rivestimento nasconde strutture pop non proprio eccezionali, anzi, talvolta mediocri. L’estetica del suono cerca di soppiantare tutto, la ricerca verso un qualsiasi cambiamento melodico, una variazione sul tema. Il japan-pop di Close promette bene, alza da subito i bpm e farebbe preannunciare un disco brioso. Non è così, gli strati di melassa e violini non danno pace. Oltretutto i samples incastrati così bene non sono neppure opera tanto originale: basta ascoltare i Phantogram per averne un esempio (collegato da un cantato ben più attraente). Activity 2 rubacchia anche qualche sequenza al piano dai Ratatat e così l’originalità si brucia fin da subito. Si salva la title-track, ma il cantato in stile Richard Ashcroft continua a non convincere troppo. La salsa dream-pop, analoga alla maionese, copre tutti i sapori e lascia in bocca l’incertezza su cosa si è mangiato finora. Poteva andare peggio: poteva essere una scopiazzatura palese degli Animal Collective, invece le influenze sono molteplici, ma il lavoro rimane dal voto incerto. Un’opera di maniera