Come Prince: The Artist Commonly Known as Technogod (da cui l’acronimo Tack At). Yorgo o, meglio, Y:DK, unico superstite della formazione originaria, riporta in scena il suo teatro confrontazionale, col piglio antagonista e la vis polemica che lo ha sempre contraddistinto. Di fatto tra Technogod (ragione sociale abbandonata a scanso di equivoci con generalismi discotecari) e Tack At non vi sono scarti rilevanti, tanto che Whelm si configura proprio come un logico seguito della produzione della sigla precedente.
I Tack At sono una macchina del tempo, riportando, per mood e suoni, immediatamente a metà anni novanta, ai tempi della Sub/Mission Records e della Vox Pop; del crossover technorock; dei Meathead, dei Templebeat, dei Pankow con Gianluca Beguzzi alla voce e, perché no, dei suoi Limbo di Evirazione Totemica Seriale. La variante tricolore di quel suono che guardava ai Nine Inch Nails di The Downward Spiral o agli Young Gods di T.V.Sky (ben prima di Murdoch…).
Whelm riparte da lì, proseguendo sulla strada del suo rock elettronico al latex, duro, grasso, al giusto tamarro; sospeso sempre tra ironia ed impegno, disincanto e sarcasmo, sesso ed analisi sociale; dove la collaborazione esterna svolge un ruolo di primaria importanza e che si concede anche il lusso di tentare qui e là un appeal di più facile presa. Sono gli ibridi electro/wave/grunge di Awoke e Monochrome, su bassi rotolanti di accordi Joy Division/Nirvana e casse dritte e pulsanti acid. Affiorano umori Danzig (Employee Of The Month, per esempio, ma il fantasma del buon Glen affiora a più riprese un po’ ovunque) e si accelera di punk, specie se californianano, con i Germs sugli scudi (Trysexual) o con i Fear (Punk’s In The Bank con Valenteena dei Valentines). Jaques Le Noir, con la voce di Nina Temple, oltre ad apparire come una risposta a No Fun Pour Moi, il brano che i Tack At hanno realizzato con Tiyng Tiffany, sembra un remake, su base house techno, del duetto Lydia Lunch/Shock Headed Peters sulla cover di Suicide Ocean della Lunch stessa (un capolavoro misconosciuto, di molto superiore all’originale, su Fear Engine II). Altrove sono invece il kebabtrüme di Ersatz Kultur dagli istinti sottilmente mediorientali, rap da casbah ma cantato in tedesco da Mensch Fabbri su saltellante cassa in quattro con break Prodigy, ed i cyberfunk di Callboi e Sockola (con Roz de Faux, già collaboratrice della band).
Sardonico, eccessivo, tiratissimo, un disco che non dà un attimo di tregua (non a caso Tack AT è anche l’anagramma di attack); scoppiettante quanto Hrundi V. Bakshi di Hollywood Party, loro nume tutelare, assieme al Chauncey Gardener di Oltre il Giardino. Come i due personaggi interpretati (ben oltre l’umana soglia della bravura) da Peter Sellers, così anche loro affermano di essersi considerati sempre un po’ fuori luogo ovunque li si mettesse: poco pertinenti alle posse, al rock in italiano, al neocantautorato e meno che mai alla Facebook generation (considerata anche la visione tutt’altro che benevola che ha Y:DK dei social network). E come i due personaggi cinematografici sempre sospesi sul filo dell’assurdo. Un lavoro che, come s’è detto, sembra esser balzato fuori, fatti i dovuti distinguo, dal 1996 ma che con la sua forza, con tutta la sua urgenza, lo pone, più che come irrimediabilmente passatista, in largo anticipo su un immancabile revival di quel decennio.