Ancora una volta registrati da Fabio Magistrali, i Taras Bul’ba tornano a distanza di quasi quattro anni per Wallace Records con un album che li conferma come abilissimi orchestratori di un sabba sonoro fuori dal tempo e dai riferimenti più immediati. Se l’incipit tagliente di Cranioterapia sembra muoversi nel recinto di sicurezza ancora troppo vicino ai King Crimson di Red, si tratta di un involucro ritmico che contiene ben altro, il digeridoo che apre le danze è solo uno dei frammenti che costituiscono l’architettura di una delle uscite più potenti e visionarie di quest’anno. Un brano come Padiglione Zonda, dove la sperimentazione di Luciano Berio sulle voci emerge da un mantra acido e inquietante, attraversa quasi tutto Secrets Chimique, con una ricchezza di suggestioni che macinano cinema di genere, lo Stravinsky più “Jazz” e la stagione meno gettonata, più importante e paradossalmente meno battuta dell’avant rock strumentale fine anni ’90; per certi versi l’oscillazione tra forma e scomposizione del suono Taras Bul’ba non sfigurerebbe affatto tra i titoli migliori del catalogo Skin Graft, rabbia no-wave allo stato puro passata al setaccio della musica contemporanea con una propensione appassionatissima nei confronti di una psichedelia dai toni oscuri e di reminescenze kraut dai colori esoterici. Una traccia come Les Chambres des enfants, pescando quasi a caso, sorprende per violenza, compattezza comunicativa e la capacità di lanciare intuizioni, visioni, stimoli che il “rock” strumentale spesso dimentica o per paura di perdere incisività o al contrario con il timore che questa sia un deterrente alla libertà della sperimentazione. Se i Soundgarden di Badmotorfinger, Capt. Beefheart, la narcolessia della Edgar Broughton Band, esoterismo, musica “colta” e “trivialità” Hardcore alla Clikatat Ikatowi stanno incollati insieme con un equilibrio e una forza molto rare, forse è perchè i Taras Bul’ba non hanno 25 anni e non sono arroganti. Consigliatissimo.