Premessa: cercherò di usare la parola pazzia il meno che posso, sostituendola con sinonimi e perifrasi; è una condizione necessaria per un gruppo che raddoppia il termine crazy all’interno del loro nome, rafforzando, se possibile, il concetto, più di quanto possa esprimere la musica. Where is Paolone?, la prima prova di questo trio, è un insolito mix musicale che richiama il mondo del circo, come si evince anche dalla copertina, ma anche quello del teatro e, perché no, anche il cinema. Le suggestioni non sono poche, ma si rifanno, eccetto alcuni intervalli acustici, a un rock compatto e spesso ripetitivo, dove predomina la sezione ritmica e subentrano tastiere à la “For the Benefit of Mr. Kite”. Si apprezzano soprattutto le “vie d’uscita” sperimentate dal gruppo, sebbene rimandino a un rock meno estremo (la leggera come vento “Yellow House”, lo pseudo singolo “Tic Tic Tac”, il rock’n’rolla della prima ora “My Mama Told Me”); da segnalare gli ossequiosi omaggi ai Pink Floyd dell’era del pifferaio ai cancelli dell’alba, ma anche del muro e degli animali. Le liriche si fanno sentire spesso casualmente, decantando possibili scene da teatro dell’assurdo (“Soqquadro”) o poesie simil Re Lucertola Jim Morrison (si veda “Tum tum…”, titolo non futurista ma onomatopeico). La poesia è nel sangue dei Crazy, spillata alla maniera degli ultimi Meganoidi, che parla di tentati assassinii al ’68, di colori preferiti e di danze stile Gioca Jouer. Comunque sia, non vi è un senso, nemmeno apparente, nell’opera intera; forse con ripetuti ascolti si può trovare. O forse no. All’ascoltatore l’ardua decisione di addentrarsi o no nel confusionario e stancante mondo del trio Rubik.