Che le produzioni italiane migliori debbano essere pubblicate prima all’estero, sembra piuttosto indicativo di una tradizionale cecità del discografico medio nazionale. Conta poco, “Defeated Songs”, lo splendido debutto della band napoletana, nome per esteso “The Mantra Above The Spootless Melt Moon”, è finalmente uscito in Italia, anticipato dall’EP “Rooms” e dalle entusistiche critiche d’oltremanica (Rocksound UK ha parlato de “i cugini cattivi degli XX” e tutti sappiamo quale fulmineo successo abbia avuto il quartetto inglese), quello che caratterizza un prodotto come “Defeated Songs” e, assieme, stupisce, è l’incredibile qualità di potenziale internazionale, d’una band che sa preservare la propria originalità, senza cedere alla tentazione di semplici citazionismi e, tantomeno, al netto incanalarsi in un genere. Si è scritto che molti dei componenti di The Mantra provengono da esperienze Prog, particolare che, in realtà, non è immediatamente percepibile durante l’ascolto delle 10 tracce, a meno che, il Prog, non venga individuato nella vena psichedelica e post-rock che risuona deliziosamente in ogni brano, come un filo conduttore, un ambiente atmosferico e suggestivo. Se è certo riconducibile alla musica dei quattro una eco di band come i Blond Readhead, i Tortoise, gli Slowdive o i Mercury Rev, assieme agli arabeschi vocali di Björk (e della devota “cugina” partenopea, Meg, ascoltare Septembers per credere), la formula di “Defeated Songs” è assolutamente personale, a partire da un primo brano già convincente come Golden Marmaids, coinvolgente grazie ad un crescendo di tensione e suono fra il sognante e l’urgente e corretto in senso indie-moderno da un pizzico di elettronica. Mangrove è invece caratterizzata dalla preponderanza della linea vocale (comunque una peculiarità della band) in continua evoluzione, come una sorta d’urgenza espressiva in equilibrio fra ripetizione e slancio emotivo. La quasi title-track, Defeated Song, è uno degli episodi più evocativi dell’album, straniata dal gioco di voci maschili e femminili, si apre con una chitarra Noise particolarmente pesante, solo un accenno, tuttavia, di quel che accadrà in Blanca, la canzone migliore in assoluto, una equazione perfetta fra tutti gli elementi più affascinanti di The Mantra, a partire dalla drammaticità della chitarra per spostarsi su certi certi cambi di tempo sognanti e l’incredibile accordo con i fiati sul finale, una perla di post-rock come accade di rado. Clouds e Rooms ricordano alcuni esperimenti di Beth Gibbons in solitaria (o quasi, se solitario può essere definito il progetto assieme a Paul Webb dei Talk Talk), di gusto autunnale, mentre Mare (Not Land) è un brano indie-rock piacevole, giusto un po’ più oscuro. Inner Season, vagamente Pj Harvey, è ancora un brano tirato affidato alla voce quasi-celestiale di Adriana Salomone, la stessa che, sublimata, fa scivolare via gli ultimi minuti di “Defeated Songs” con Lines of Fire, una chiusura di grande raffinatezza, estremamente malinconica ed irrisolta, perchè l’intero album di The Mantra ATSM è una questione estremamente seria e, il fatto che non dispiaccia mai, dimostra quanto l’universo sospeso dei napoletani sia credibile, desiderabile.