“Du du duru” , “Don’t you want me / don’t don’t you want me”: farsi sparare in faccia un ritornello spudoratamente pop come questo (Police docet) fin dalla prima canzone è un buon modo per accattivarsi le simpatie dell’ascoltatore. Così giocano le loro carte i The Sea, formazione britannica composta da chitarra e batteria, formula ampiamente consolidata nell’ultimo decennio. Al di là dell’appeal strettamente pop, questo duo si muove lungo le coordinate del glam, dell’hard rock e del blues: il primo pensiero va ai Wolfmother, per l’aggressività dei riff compatti di chitarra, ai White Stripes per il suono ma non per l’attitudine, ai Queen dei tre primi lavori, e, mi sbilancio, ai Led Zeppelin. Le undici tracce scorrono agevolmente, formando un bignamino di perlomeno vent’anni di storia della musica rock e del revival dei venti successivi: What You Gonna Say Now cavalcata in stile Barracuda o Keep Yourself Alive; Endless Flight è orientale come gli Zep del terzo lavoro o i Beatles in mano a Harrison; Love Love Love e Say It Again sono praticamente outtakes dei Wolfmother. Il ripescaggio degli anni ’70 è palese, viene da chiedersi se non sia fuori tempo. Bollarli come ruffiani sarebbe un complimento, qui il ritornello facilone è un obbligo, e a dirla tutta non ci dispiace nemmeno un po’. Abbandonare gli arzigogoli da prog rock che tanto hanno infestato buona parte dei seventies è da considerarsi come una riflessione consapevole e, seppur di poco, innovativa. Soprattutto il disco scorre e non stanca. Un consiglio? Abbandonate le vostre smorfie di disgusto da puristi del rock e godetevi questo album in totale disimpegno.
