Trio proveniente dal Leicestershire, attivo da una decina d’anni, i Wave Pictures sembrano invece una delle tante meteore emerse dal mondo musicale indipendente inglese negli ultimi anni, sempre più parco di proposte realmente interessanti. Si fa presto e dire Velvet Underground, Television, Hefner, Jonathan Richman(!!) come si legge in una serie di recensioni copiaincolla; i tre, fatta tabula rasa di una manciata di influenze semplici come le analisi del sangue, licenziano il loro primo album per Moshi Moshi, con ben 13 brani quasi completamente privi di spunti degni di nota, risultando anzi in più di un’occasione decisamente fastidiosi, principalmente a causa della voce di David Tattersall, che può ricordare quella di Alec Ounsworth dei Clap Your Hands Say Yeah. In questo caso il canto stonato e sgraziato è però al servizio di pezzi molto meno ispirati ed energici rispetto a quelli dei newyorkesi.
Il canovaccio attorno a cui si muove la band britannica è più o meno sempre lo stesso: canzoni dal piglio pop sbilenco, con un ruolo di primo piano per il basso di Franic Rozicky e in chiusura qualche assolo di chitarra, di vaghe reminiscenze Dire Straits(!!!), dello stesso Tattersall. I risultati, come già detto, sono quasi sempre sotto la sufficienza. Il fondo lo si tocca con “We Come Alive”, con coretti stonati, handclapping e ritmi vagamente saltellanti che vanno a formare un incubo indie pop, e con la seguente “Kiss Me”, che nel ritornello non può che richiamare alla memoria gli Smiths, proponendo un confronto del tutto fuori luogo, ma soprattutto nel refrain di “Strange Fruit Or David” in cui si afferma A sculpture is a sculture, marmelade is marmelade, a sculpture of marmelade is a sculture, but it isn’t marmalade, rovinando così uno dei pezzi più ispirati del disco.
Tra gli altri brani, che spesso si trascinano stancamente verso la conclusione (soprattutto le ballate, come “Avocado Baby” o “Red Wine Teeth”). quelli salvabili e meritevoli di citazione sono il singolo “I Love You Like A Madman”, con sax e ritmi spensierati che rimandano agli Zutons, la title-track, con soluzioni melodiche più convincenti che fanno quasi passare in secondo piano la voce di Tattersall, e i momenti più rock’n’roll che emergono in “Friday Night In Loughborough”. Ma sono solo piccole gocce in un mare di noia e pochezza.