Dopo il mini The first moon i Two Moons riconfermano orgogliosamente lo straordinario anacronismo del loro suono che è omaggio sentito ed appassionato al post-punk oscuro delle origini. E’, quindi, un florilegio di Joy Division e Bauhaus (nella voce e nelle strutture armoniche); New Order, Depeche Mode e Sisters of Mercy (nelle linee di basso essenziali e dirette o nei ritmi sintetici, giacchè l’elemento elettronico si è fatto nel tempo sempre più spazio nell’economia del gruppo); Psychedelic Furs, Echo & the Bunnyman e Cult (nella visione psichedelica calata in un immaginario lugubre). Per non dire che, in brani come la conclusiva To run, la crasi tra anima britannica e mediterranea, lo scontro tra fonetiche ed accenti, tra immagine e suono, conduce idealmente ai Neon o ai primissimi Litfiba o agli altrettanto primissimi Kirlian Camera o ai seminali Militia, laddove il post-punk diveniva new wave e siglava, aldilà di comprensibili ingenuità e caos ideologici (o forse proprio per questo), uno dei periodi più avvincenti dell’indie nostrano. Ma non è passatismo da veterani fuori dal tempo il loro (e ad ogni modo, avrebbe comunque intento nobile) ed è chiaro già dall’incipit di Stars, dove a manifestarsi sono proprio i New Order di Technique, che guardano a Bowie ma da dentro un club off del 2012. Così dalla successiva In the city, dal passo insistentemente dance e dall’intro sghembo di synth in acido. Perché quando l’elettronica si veste di vintage, ironia dell’ellissi storiche, allora si ritorna all’oggi, tutto diventa moderno ed attuale, anche una cavalcata dark come la titletrack (Colors). E se la più atmosferica Moon That Watches Me, con raddoppio vocale di Francesca Bono degli Ofeliadorme, allenta la tensione, allora Automatic smile, con un insistito battere elettronico, fa riaffiorare le nevrosi, prima immergendole in oceani sintetici e sfogandole, poi, nelle distorsioni industriali della definitiva Nothing (una Day of the Lords suonata sul limitare della Linea gotica dei CSI o, più verosimilmente, sulla soglia della caverna, dove “tutti i gatti sono grigi”, di Faith dei Cure). Danze esiziali per l’apocalisse prossima ventura, affrontate con sobrietà, senza clamori, senza pelle nera e trucco sugli occhi, senza giacchette strette in vita o cravattine d’antan. Dark senz’essere gothic. Con la sicurezza di chi conosce la storia e ne fa istruzione per la pratica del presente.