Il piccolo Ty sta crescendo: enfant prodige del lo-fi garage marcio e psych di scuola californiana, compagno di merende di quel geniaccio di John Dwyer (leader degli Oh Sees, altro fondamentale combo da seguire incondizionatamente per capire dove va la musica garage oggi), collaboratore dei Sic Alps, il nostro in pochi anni ha sfornato una serie di lavori – 3 solisti, split con i Black Time e Mikal Cronin – che lo hanno portato ad essere uno degli artisti più quotati nell’ambito del rock’n’roll più sghembo e privo di compromessi. Ascoltate questi artisti/gruppi, per comprendere come questa musica sia l’erede più credibile dell’indie-noise rock portato alla ribalta negli anni 90 da gente come Sebadoh, Pavement e Dinosaur JR (fatte ovviamente le debite differenziazioni stilistiche). Ma torniamo al nostro Segall – il quale, è bene ribadirlo, ha solo 23 anni – che dopo 3 album incisi per la Goner Records fa il “salto” ed approda alla meno sotterranea Drag City: c’era da aspettarsi meno bassa fedeltà, ed infatti i suoni sono leggermente ripuliti ed il tutto è un pochino meglio prodotto; c’era da aspettarsi più pacatezza e meno sguaiatezza, e ci siamo pure lì, basta sentire la title track che apre il disco, ballata a metà strada tra Neil Young e i Byrds. Per il resto però la natura intrisencamente garagista del buon Ty non è affatto andata perduta, basta ascoltare l’attacco di Comfortable Home, oppure l’omaggio (forse involontario) al compianto Jay Reatard in My Head Explodes. Si avverte un maggiore controllo dei propri mezzi espressivi, che spesso si risolve in ciondolanti e narcotiche ballate drogate, dove l’influenza dei Sixties più off è palpabile (The Floor, I Am With You). Ciò che fa la differenza è la notevole capacità di scrittura posseduta da Segall, capace di sbancare con un numero shoegaze come Where Your Head Goes. In generale, i brani di Goodbye Bread funzionano per due sostanziali motivi: le melodie e la non scontatezza. Iniziano in un modo, ma non sai mai come finiranno, se in un’orgia di distorsioni, piuttosto che in delicati deliri psichedelici, o in cambi d’atmosfera inaspettati. Grande disco.