Controra è un termine dialettale strettamente connesso a certe pratiche in uso nel Sud Italia, un concetto difficilmente comprensibile per chiunque sia estraneo a tale realtà geografica. La regista Lina Wertmüller ha magistralmente esposto il significato del sostantivo nell’incipit de I Basilischi, pellicola che racconta senza ipocrisie l’accidia tipica della provincia meridionale. Umberto Palazzo, originario di Vasto e proveniente da una famiglia napoletana, è certamente affine alla parola in questione, e non a caso la associa alla dimensione notturna nel titolo del lavoro che segna il suo esordio come solista. A grandi linee la controra è assimilabile alla siesta messicana, indica un momento del primo pomeriggio in cui, a fronte della calura insopportabile, tutto si ferma: le attività produttive si interrompono e gli uomini riposano, tornando alle proprie occupazioni solo dopo alcune ore. Ciò che accomuna la controra alla notte, di conseguenza, è la natura tipica degli attimi di stasi: entrambe le situazioni spalancano una sorta di metafisica zona del crepuscolo, dove il normale scorrimento del tempo è misteriosamente sospeso. Tale sospensione dovrebbe favorire il riposo, ma a chi non riesce a dormire essa può rivelare abissi di solitudine che sconfinano nel puro terrore. Tra gli insonni annoveriamo anche Palazzo, che infatti colloca il disco “nella dimensione mentale del sogno e del dormiveglia e nella dimensione geografica di un sud puramente immaginario”, e definisce la controra “l’ora dei miraggi e delle allucinazioni, l’ora del dormiveglia agitato da sogni sensuali, l’ora in cui tutte le bestie riposano e non c’è nessuno in giro tranne il Dio Pan”. Per adeguarsi al meglio a tale condizione spirituale l’artista si libera dell’armamentario rock, che lo ha accompagnato fin dagli esordi con Massimo Volume e Santo Niente. Dismesse distorsioni, feedback, urla e batterie tradizionali, Palazzo esplora un universo musicale carico di umori ancestrali, ambendo ad abbracciare una tradizione folk che possa comprendere i sud di ogni parte del mondo. Ecco dunque il mediterraneo, le scale modali, le sarabande greco-orientali (La Marcia dei Basilischi), i mandolini, il pop italiano di fine anni ’50 contaminato dalla canzone napoletana (Metafisica, Cafè Chantant). Dall’altra sponda dell’Oceano provengono due gemme sixties di pop psichedelico come Aloha e La Controra, nonché il mariachi virato Morricone di Luce del Mattino. Passando in rassegna il lato più propriamente notturno dell’album incontriamo capolavori come Terzetto nella Nebbia, composizione d’autore straziata da spettrali sintetizzatori che ricorda, per atmosfere ed approccio lirico, le prove etniche di De Andrè. Il catacombale blues/tex mex La Luce cinerea dei Led riesuma addirittura lo spettro del Nick Cave più eroinomane e tormentato. Nonostante la varietà stilistica, l’album è contraddistinto da un’impostazione cantautoriale piuttosto raffinata. Si nota una certa coerenza tra brano e brano per quanto riguarda l’utilizzo del vocabolario, ed è evidente la ricerca di termini atti ad evocare anche semanticamente la dimensione di incertezza e spaesamento di cui si parlava poc’anzi. Libero da sigle di schermo e comprimari occasionali, Palazzo canta e suona tutto da solo, licenziando il lavoro che rappresenta forse la svolta della maturità. Stando alle parole del cantante, il disco è stato realizzato quasi come un divertissement, durante la preparazione di nuovo materiale destinato agli album di Santo Niente e Santo Nada. Viene proprio da pensare che, a volte, le cose migliori nascono per caso.
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