Spesso, anzi, pressoché sempre, sono i dettagli che salvano una canzone scontata dall’ oblio, dall’ inutilità. Questo ep dei pisani Una Pura Formalità è fatto di 4 pezzi a questo modo. Le idee non sono sensazionali e soprattutto la voce di Fabrizio Panizzi, anche se ben calibrata e pertinente, non è certo irresistibile. C’ è un fondo di provincialità che non si perde del tutto e troppo poca malizia commerciale. Ma c’ è una cura molto perfezionata degli arrangiamenti, un disco che suona, le chitarre di Giacomo Gori che aggiungono molto senza, finalmente, togliere nulla al resto: in una parola, gusto. E scusate se è poco, di questi tempi, e non solo nella musica, esserne dotati. Dunque, per quanto invece riguarda il retroterra e le influenze della band io citerei sicuramente gli anni 90 nella sua interezza, con alcune connotazioni territoriali più evidenti, come per esempio i Malfunk, piuttosto che i Virginiana Miller (che comunque continuano a scrivere e suonare), mentre alcune atmosfere possono più rimandare ai Pertubazione. I testi, che pur fanno la sua figura, avrebbero magari bisogno di più buon umore nel cantato per non essere presi troppo sul serio ma è comunque ammirevole (e sostengo a priori) il tentativo di cantare in italiano senza sparare deliberatamente cazzate prive di cognizione di causa o senza parlare di amore e di belle cose della vita. Ci sono in più alcuni fraseggi vocali, ritmici e armonici molto ben inseriti nel contesto compositivo, e squarci di dilaniati delay, ovviamente a cura dello shoegazer Gori che calano l’ asso quando il pezzo si affloscia.