I Wolf Parade escono il 29 giugno con Expo 86, titolo ispirato all’esposizione universale di Vancouver del 1986, già preso in prestito per una canzone dei Death Cab for Cutie; terzo lavoro per i Wolf Parade, a due anni dal precedente e ottimo “At Mount Zoomer”. Tutti coinvolti in mille altri progetti paralleli, i ragazzi (attivi dal 2003) hanno infatti superato una iniziale fase “di culto”grazie anche ad una esplosiva carica dal vivo e sono ormai uno dei gruppi di punta della Sub Pop (assieme a Band of Horses), presentandosi con una storia evolutiva quanto meno dinamica. La loro “configurazione” è avvenuta praticamente a tavolino, dall’iniziativa di Spencer Krug dei Frog Eyes, lo sviluppo della band è stato rapido e in continua ascesa. Anche grazie al supporto degli altri artisti della scena canadese di Montreal, tra i quali soprattutto (ed ovviamente, visto che il gruppo è nato proprio come loro spalla ai concerti e hanno collaborato a quasi tutti i precedenti lavori) gli Arcade Fire. Expo 86 era l’ occasione ideale per mettere a pieno frutto una formazione ormai stabile e ben calibrata, modulata sulle menti di Krug e Dan Broeckner, che aveva raggiunto nel precedente lavoro una interessante mistura di suoni e influenze, trasversalmente ascrivibili agli ultimi trentacinque anni di rock (si va da Bowie agli Interpol, dalla progressive al punk, con straordinaria libertà). Sempre legati comunque a quell’interessante fusione tra new wave e psichedelia, marchio di fabbrica dell’ indie rock canadese, i Wolf Parade decidono di smussare ancora di più gli angoli dei precedenti lavori, ancorandosi invece a linee ritmiche più stabili, melodie più respirabili e arrangiamenti più ordinati. Molto più vicini che in passato a Jesus & Mary Chain e agli stessi Arcade Fire di “Funeral”, sono più che mai le tastiere di Hadji Bakara a diventarela colonna portante della composizione, abbandonando il ruolo di “cornice noise” avuto in passato. Tutto resta ben lontano dal potersi considerare una svolta commerciale, anzi, laddove il pezzo sembra prendere una piega “troppo” armonica, si interviene spesso al momento giusto con la “stortura”, la dissonanza o il cambio di passo (soprattutto per merito di Krug e delle sue chitarre) e un’ accurata e mai piatta produzione di Howard Bilerman (gli stessi Arcade Fire, Thee Silver Mt Zion, God speed you black emperor!) garantisce la freschezza del prodotto. Si può quindi parlare di maturazione, ma soprattutto di compimento di un percorso. Undici tracce mediamente lunghe (siamo sui 5 minuti a pezzo) per quasi un’ ora di ascolto scorrevole, piacevole e partecipe. Undici canzoni convincenti.