Fuori dal grigio. Dentro al nero. Se – come già suggerito in questa sede – Nina aveva rappresentato la dichiarazione d’intenti che prelude ad ogni drastico cambiamento di rotta, Angel Guts : Red Classroom incarna appieno l’estetica dei rigenerati (degenerati?) Xiu Xiu. Stavolta i fantasmi che tormentano il demiurgo Jamie Stewart sono talmente spaventosi da ridurre le ansie del passato a mere sindromi premestruali. I toni crepuscolari che hanno caratterizzato gran parte della produzione del gruppo vengono qui abbandonati, a favore di un pericoloso avvicinamento al lato oscuro della forza. Sebbene non ci si trovi di fronte ad un prodotto radicale quanto era stato l’album tributo alla Simone – la forma canzone, perseguita nel corso degli ultimi lavori, viene infatti quasi sempre mantenuta – le composizioni raggiungono notevoli vette di estremismo sonoro, che bilanciano la crudezza dei testi di Stewart come non accadeva da diversi anni. Paradossalmente, l’unico brano che avrebbe lasciato presagire una tale evoluzione è I Luv Abortion, che sul predecessore Always spiccava come una mosca bianca. Il mosaico sonoro di Angel Guts : Red Classroom è infatti interamente assemblato a partire da sintetizzatori, drum machines, percussioni e suoni trovati; la miscela sonora che ne scaturisce, peraltro, dimostra un rigore stilistico che sconfessa del tutto la natura eterogenea degli album precedenti. Se la nenia pagana di Angel Guts apre da subito ad atmosfere ansiogene, l’incedere ferale di Archie’s Fade sprofonda l’ascoltatore in un abisso nero pece di pura disperazione, per uscire dal quale un cappio al collo appare come la soluzione più ovvia. Vengono in mente cose come Decades dei Joy Division, o l’intero Pornography dei Cure: roba da ascoltare da soli, al buio, con in mano un rasoio o perlomeno un’ingente dose di barbiturici. Seppur con tinte meno forti, New Life Immigration, Bitter Melon e Botanica de Los Angeles si muovono lungo le stesse coordinate, con quest’ultima sugli scudi a rappresentare il brano più struggente di Stewart dai tempi di I Love the Valley OH! Altrove non è tanto il tono minore delle melodie, quanto la pura follia esecutiva a far letteralmente drizzare i capelli sulla testa. È questo l’effetto che suscitano lo psicodramma à la Suicide Cynthya’s Unisex, i toni dementi e spettrali di Lawrence Liquors, le campane a morto di El Naco. Il singolo Stupid in the Dark riesce nell’intento di sintetizzare entrambe le tendenze, contrapponendo l’idiosincratica cassa in sedicesimi della strofa ad un refrain melodico che serve al meglio l’epica voce del frontman. A riprova della natura oscura dell’opera, basti precisare che nel brano più ottimistico del lotto Stewart declina gli accordi di Bela Lugosi’s Dead secondo traiettorie funky, ripetendo ad oltranza il termine “cazzo negro”. Se tutto questo possa definirsi intrattenimento è ancora materia di dibattito, ma una cosa è certa: oggi più che mai, le emozioni forti sono di casa.