Gli Zenerswoon sono il classico gruppo fuori dal coro. Nel senso che, ormai passati dal loro primo album There in the Sun ben cinque attesi anni, nei quali, senza tener troppo aggiornati i propri fan (che pure hanno da allora sempre fedelmente conservato), hanno maturato il loro stile, particolare, ma allo stesso tempo denso di rimandi, proseguendo un percorso che pare non aver risentito affatto di una contigua e incalzante (e possibile, futuribile) scena fiornetina. Che non usa l’ immagine come un baluardo, e che vede la musica come un mezzo e non un fine. Una dimensione tanto eterogenea dovuta molto alle esperienze private dei componenti (Bettazzi con il suo progetto solista Peckinpah, Angelucci come chitarrista di Pentolino) fa sembrare questo bel disco una sorta di rimpatriata, nel senso più roseo del termine. Ovvero è come se i musicisti di nuovo insieme dopo un po’ di tempo (un viaggio? Una pausa? Un momento per riflettere?) abbiano fatto mente locale su ciò che sono e ciò che vogliono diventare, un confronto aperto sulle attitudini e sulle influenze di ognuno. Ne esce Frames, in cui convivono nelle 9 tracce che lo compongono, armonicamente le più diverse pulsioni, e ha un senso accostarvi Motorpsycho e Janes Addiction, Genesis e Beach Boys. Ammettendo (e passando per buono) che in alcuni convulsi passaggi la varietà sfiori il caos e l’ incoerenza – tutto è post in fondo – l’ unica pecca è forse la scelta dell’ inglese (piuttosto maccheronico a dir la verità), almeno fino a quando vorranno fare dell’ Italia la loro nicchia di mercato privilegiata.
Un buon disco, incompiuto per vocazione e – deo gratia – fuori dal tempo e dalle mode.