Un museo è sia quel luogo dove vengono esposti oggetti e opere d’arte provenienti dal passato, così degni di nota da non poter essere dimenticati, oppure un ambiente creato ad hoc per approfondire la conoscenza dettagliata di meraviglie (meccaniche e non) contemporanee e del nostro passato più prossimo. Il personalissimo e Dolce Museo di Alessandro Fiori assume in se entrambe le valenze semantiche portando agli occhi della nostra immaginazione 11 quadri che si dividono fra malinconici ricordi (‘Il gusto di dormire in diagonale’ recita esattamente così: “portami a fare una mostra personale sul degrado ambientale delle spiagge del mio cuore”) e meticolose descrizioni di quotidiani spaccati di vita (come le iniziali ‘Scusami’ e ‘Giornata d’inverno’), condite da una deliziosa alternanza, comune nella poetica dell’ex-frontman dei Mariposa, fra profonde immagini romantiche/poetiche e gretti sprazzi della più bassa realtà (ad es: “scusami se ti ho svegliata e tu sognavi Hemingway felice nella val Tidone scusami ero già in piedi da un pezzetto per andare a pisciare”), che nei momenti migliori rimanda molto da vicino a Raymond Carver. L’ultima fatica dell’aretino è un lavoro intimo e riflessivo, ma allo stesso tempo sereno e distaccato, segnato dalla recente nascita della figlia, dalla morte per alcool dell’amico Sandro Neri (a cui viene dedicata l’omonima traccia, che tanto ricorda nei temi ‘E’ Natale il 24’ di Piero Ciampi con cui Alessandro condivide molto di più della provenienza regionale) e dalla centralità dell’avventura da solista. Questi cambiamenti fanno sì che i testi delle canzoni diventino per la gran parte descrittivi e didascalici, pur mantenendo un baluardo di ermetismo in ‘Coprimi’, ‘Ti annunci piangendo’ e ‘Il Vento’. Anche le musiche, create con l’aiuto di Emanuele Maniscalco alla batteria e Sebastiano De Gennaro al vibrafono e alla marimba e registrate assieme all’amico Alessandro “Asso” Stefana (già compagni di giochi in passato), vengono ridotte all’osso: per lo più sono scarni (ma efficaci) accompagnamenti elettronici alla voce di Fiori, una versione più acida di Saluti Da Saturno per intenderci. Tappeti sonori abbastanza discreti da non rubare la scena alle parole, orchestrati però con adeguata maestria di modo da giocare un ruolo fondamentale nonostante non siano in primo piano. Esattamente come faceva Oriali per l’Inter degli anni ’60. Magari con un pizzico di magia in più. Anche se, talvolta, le musiche ed i musicisti, prendono inaspettatamente coraggio e si fanno padroni della scena, lasciando un gradevole sapore nel palato dell’ascoltatore. Dimenticandosi di essere semplici gregari si dirigono palla al piede verso la porta, spiazzando avversari e tifosi, come uno Zidane o un Maradona. Per poi tornare nei ranghi all’azione dopo. Proprio come il mondo del pallone ha inaspettatamente riscoperto un calcio bello ma perdente come quello di Zeman, allo stesso modo Alessandro Fiori valorizza la semplice bellezza della vita e dei sentimenti di tutti i giorni, che così tanto stride con l’opulenza economica e emotiva di cui siamo circondati grazie ai media, arrivando a compilare un campionario di gioie e dolori, magari piccoli e fuggevoli, ma che, come il lento cadere di una goccia d’acqua sul calcare, segnano indelebilmente il nostro vissuto.