Quando si sa che il disco dura appena 17 minuti è difficile essere credibili scomodando argomentazioni di solito utilizzate per descrivere i dischi fondamentali della nostra vita, ma osservando l’affezione del pubblico, il singalong collettivo ed appassionato che accompagna i concerti degli Altro, non si può fare altro che provare ad annodare collegamenti che vanno ben oltre la musica.
Alcuni insegnamenti del movimento punk italiano degli anni Ottanta, periodo in cui l’Italia è stata davvero al centro del mondo underground, sono raccolti in questo disco che diventa la terza parte di una trilogia – le altre due sono rispettivamente “Candore” e “Prodotto” – in cui l’elemento in comune non è un tema specifico, ma collezionare le virtù della sintesi.
Un ripasso di rabbia giovane, dunque.
E non solo grazie al facile rimando ai CCCP.
Come nei precedenti lavori del trio pesarese la caratterizzazione delle singole canzoni si perde, nonostante l’ancoraggio mnemonico forte dei testi in italiano. Ma Aspetto è un piccolo disco fatto per essere ascoltato milioni di volte, dove il basso cupo scandisce il tempo e le schitarrate alla velocità della luce forniscono la base per il flusso di coscienza dei testi.
Per chi scrive le canzoni di Aspetto diventano il genuino disagio delle copertine di Winston Smith, i collage di immagini altrui ricomposte con significato surreale-politico. Con gli Altro però non c’è piu la protesta politica diretta contro presunti fautori del sistema. Non ci sono più soggetti precisi contro cui urlare. C’è solo un’inquietudine ermetica, che parla un linguaggio quotidiano, facile da ri-proiettare sui propri vissuti. Gli Altro sono scarni ed essenziali, sono gli Husker Dü
amputati; potrebbero osare arrangiamenti più d’atmosfera e invece la loro evoluzione rimane sospesa, chiamando l’ascoltatore a riempire le canzoni di partenze e ritorni, di cose perse e ritrovate.