I Bancale sono una delle realtà più interessanti ed innovative di questi anni, una delle poche band in Italia ad avere una poetica compiuta e in grado di descrivere la realtà con spirito realmente critico, partendo da un microcosmo, la provincia di Bergamo, per raggiungere una visione a trecentosessanta gradi di ciò che ci circonda. Abbiamo affrontato lo stesso percorso nell’intervista che ci hanno concesso Luca, Fabrizio e Alessandro in occasione del loro concerto alla Festa Democratica di Osnago lo scorso 5 settembre. Un confronto molto interessante, partito dalle radici geografiche e artistiche della loro musica, e arrivato fino a Clint Eastwood.
Nella biografia della band presente sul vostro sito si dice che per la vostra musica il punto di partenza è il blues, a cui poi aggiungete tutte le vostre ispirazioni. Focalizzandoci sul blues e sulla vostra origine geografica, viene da chiedersi: cosa unisce i suoni dell’America più profonda con la provincia di Bergamo altrettanto profonda?
F: Abitiamo in paesi che potrebbero essere in Texas, quindi il collegamento è diretto.
L: in realtà il collegamento non è geografico perché al mio paese, Bagnatica, come a quello di Fabrizio, Gandino, mentre Alessandro è brianzolo, si suona tutt’altro solitamente. È semplicemente un collegamento sentimentale, perché il blues va a narrare bene un certo tipo di atmosfere, di sentimenti, di stati d’animo. Alla fine il blues è l’unica musica esistente da duecento anni nel mondo popolare.
Dalle vostre parti e in generale in Italia è difficile trovare similitudini per la vostra musica, possono venire in mente giusto i Bachi Da Pietra e i Madrigali Magri. Vi sentite un caso unico? E da dove arrivano le ispirazioni per fare ciò che fate?
A: più che di ispirazioni parlerei di influenze. In quello che facciamo confluisce, come per tutti i gruppi, ciò che ascoltiamo. Tutto nasce dai testi di Luca, perché si parte sempre dal testo e si cerca di raccontarlo in musica.
L: ci sono della band che possiamo citare, che hanno tutte un denominatore comune, ovvero che sono tutte abbastanza destabilizzanti, poco rassicuranti. Non amiamo molto la roba rassicurante e quindi ci ha influenzato chi non lo è. Personalmente io ho cominciato a usare la voce per dire le cose che scrivo dopo aver ascoltato i Bachi e i Madrigali. Prima non mi potevo immaginare che ci potesse essere un uso della voce che fosse non cantato, ma anche non declamatorio. L’Italia ha tutta una tradizione adriatica di voci declamatorie, da Emidio Clementi ai CCCP. Poi ti posso citare i Current 93, i Six Organs Of Admittance o gli Einsturzende, anche se è un po’ didascalico dirlo. Oltre a questi tantissime altre cose, non direttamente collegate al nostro suono. Se io dovessi dirti una cosa che mi ha ispirato molto nell’approccio sul palco è Caetano Veloso, che non senti nella nostra musica. (Continua alla pagina successiva…)