Occuparsi di Netlabel non è cosa semplice, soprattutto da un punto di vista redazionale; la quantità non è inversamente proporzionale alla qualità e questo pone problemi di tempo e assimilazione. Indie-eye privilegia con passione e stupore infantile le realtà produttive sviluppate con propellente autonomo, e non finiremo mai di ripetere che la parola “Indie” per chi scrive rappresenta un nonsense che riacquisisce valore se affiancata alle incertezze dell’occhio; Indie è una gabbia, lo sanno bene anche quelli che non lo dicono, Indie è un genere generico con i suoi tic e le sue major nascoste sotto la botola della cantina; il problema di per se non sono le etichette dal marchio ingombrante che al contrario si servono di strategie spesso piu virali e interessanti delle piccole label cresciute a volte in mezzo alla filosofia del sospetto, del complotto e della chiusura solidal-provinciale; il problema è la (s)fiducia nel pensiero antiproibizionista come possibile strategia di diffusione con(tro) il mercato. Le Netlabel funzionano con una pericolosa (un pericolo positivo) riduzione dei supporti, si affidano alla distribuzione digitale, si fidano della rete come arena promozionale piuttosto che del solito promoter improvvisato, sono in fondo la loro stessa negazione, perchè con qualche ora di alfabetizzazione ICT e multimediale invitano a far da soli. A Cupertino lo sanno bene, una consapevolezza perversa si intende e realizzata secondo gli standard proprietari che sanciscono un successo fondato sul monopolio delle compatibilità; lo dimostra l’accesso alla piattaforma Itunes per vendersi liberamente, gestire i propri Podcast, infilarli nella connettività globale e destinarli all’oblio o alla massima visibilità senza il filtro degli addetti ai lavori. L’accostamento Itunes/Netlabel può sembrare blasfemo, ma è efficace. Oggi, in forma del tutto speciale, dedichiamo parte degli interventi giornalieri ad alcune delle netlabel Romane più interessanti, con la promessa di tornare sull’argomento molto spesso.