Waterloo è il nuovo disco di Fabrizio Coppola, un affresco sull’Italia degli ultimi anni, tra sconfitte e voglia di rinascere, di respirare e di lavorare. Abbiamo parlato con Fabrizio di questo e disco e del suo mondo musicale e non, in occasione del suo concerto all’Arci Bellezza, uno dei luoghi simboli del cambiamento di Milano negli ultimi mesi, quel cambiamento ipotizzato e descritto anche in Waterloo.
È passato più di un mese dall’uscita ufficiale di Waterloo. Cosa pensi delle prime reazioni della critica e del pubblico?
Devo dire che, per quanto riguarda la critica, sembra che la maggior parte dei giornalisti seri, che si occupano di musica seriamente, abbiano colto lo spirito e l’intenzione del disco e abbiano recepito quella caratteristica, cioè il fatto che è un disco a strati, è un disco molto stratificato, molto denso, e soprattutto hanno colto quella che era la mia intenzione: Waterloo è un disco che parla del nostro paese negli ultimi cinque anni e di storie di persone che ci hanno vissuto. Per quanto riguarda il pubblico, abbiamo iniziato a fare i primi concerti, e mi pare che stia andando piuttosto bene, sono piuttosto contento. Per il resto, vedremo cosa succederà.
Raccontaci la genesi di Waterloo, che è stata abbastanza travagliata…
Il mio ultimo long playing, come li chiamavano una volta, è del 2005. Nei miei appunti a casa, il primo quaderno che sulla copertina ha scritto Waterloo risale all’agosto del 2006. Nel frattempo sono successe una serie di cose: il tour acustico di un anno su e giù per l’Italia, poi sono entrato in studio per lavorare al disco, ho scritto La Stupidità e ho deciso di pubblicarlo subito come EP, poi un altro anno e mezzo di concerti in giro, ho scritto ancora un bel po’ di canzoni e finalmente è uscito il disco. I dischi quando escono solitamente sono già vecchi per chi li fa, è un po’ come per il cinema: il film che vedi oggi può essere stato montato nel 2009, lo script può essere del 2000, ma il risultato al pubblico arriva dopo.
Penso che nella tua carriera ci sia stata un’evoluzione in questo senso: sei partito da un rock di matrice prettamente americana, per poi inserire man mano influenze differenti. Ad esempio in Waterloo si possono sentire i cantautori italiani, gli Editors, Nick Drake. Da dove deriva questo ampliamento di orizzonti?
Io ho sempre ascoltato ed ascolto molta musica differente, però è chiaro che nei diversi momenti della tua vita, sia personale che artistica, sono diverse le cose che ti colpiscono e quindi le cose che ti restano nel subconscio. Dopo che hai scritto una canzone in un certo modo o hai fatto un arrangiamento di un certo tipo, passati sei mesi riesci a capire da dove sia nata, da cosa hai preso spunto. È strano veramente, perché a volte da due parole o da un semplice accordo di chitarra, può nascere un mondo. Per cui penso che Waterloo sia un disco figlio degli ascolti degli ultimi anni, figlio anche di qualcosa di cui parla anche Guglielmi nella sua recensione sul Mucchio, che dice però anche una cosa di cui francamente mi sono stancato: secondo lui io sono troppo leggero per gli indipendenti e troppo figo per il mainstream. Mi sono stancato del fatto che la gente abbia ancora oggi nel 2011 bisogno di metterti in una casella, come se io mi sentissi un mezzosangue in una società di bianchi e neri. Allora la gente ha bisogno di stabilire se tu stai di qua o di là, perché se stai di qua o di là sanno come gestirti, se sei una cosa nel mezzo invece… però sentire che questi commenti arrivano da gente che lavora in ambito artistico da anni e che ha anche un ruolo importante nella ricezione della cultura musicale in questo paese è una cosa che mi delude. Poi dopo a me non me ne è mai fregato niente, io faccio quello che voglio fare, per cui se le recensioni sono belle o sono brutte me ne assumo la responsabilità; io faccio le cose perché avverto la necessità di farle in un determinato modo. Per cui non è che mi lamento del fatto che magari escono delle recensioni negative, però se uno mi dice che non si capisce cosa sono, gli dico di riascoltarsi il disco altre cinque volte e magari un’idea più precisa di quello che sono gli viene. (continua alla prossima pagina…)