Di solito tu canti di Milano, però c’è una canzone, La ballata dell’uomoformica, in cui canti di Torino. Perché il passaggio all’altra grande città industriale del nord?
Quella è una canzone particolare; anche lei l’avevo da un po’ di tempo, in tre o quattro versioni diverse. Ce n’è una versione molto dura, in cui nel ritornello dicevo “Lasciare Torino”, era la storia di quello che succede dopo l’uomoformica, era la storia di una famiglia, due persone che vivono insieme, vivono a Torino e a Torino non c’è più lavoro. Torino per loro è stato il futuro, la gioia, la dignità del lavoro, l’inizio di una nuova vita, poi arriva il momento in cui a Torino non c’è più lavoro e quindi nel ritornello dice “Lasciare Torino, prendi le tue cose amore e andiamocene via“. La ballata dell’uomoformica invece parla di ciò che accade prima, di Torino che è la Fiat, perché tu quando parli di industria in Italia, che ti piaccia o meno, parli di Fiat; quando parli di boom economico parli di autostrade e macchine, quando parli di emigrazione in questo paese parli ancora di Fiat. Era un tema che volevo affrontare. Alcuni hanno detto che l’uomoformica è una canzone romantica: trovo che sia romantica come un calcio nei coglioni. Quindi Torino per la Fiat e l’emigrazione; in realtà ho sempre pensato che gli italiani sono un popolo con una memoria troppo corta: per vessare i migranti devi essere svedese o qualcosa del genere, nemmeno quello perché anche loro sono andati in America e in Germania. Volevo parlare di questo: cosa vuole dire se domani Fabio Pozzi o Fabrizio Coppola per trovare un lavoro devono andare altrove, in Texas o in Svizzera o chissà; cosa vuol dire lasciare la vita che avevi in un posto, che però non era sufficiente perché magari avevi un amore ma non ci campi con quello. Quindi la posizione peculiare del protagonista è quella di avere davanti a sé due scelte: restare e tenersi quell’amore, e spesso l’amore è la ragione intera di una vita, oppure seguire il lavoro. Due scelte sbagliate quindi, ed è un destino atroce, un destino che tocca a tantissime persone.
Tornando a Milano, hai partecipato attivamente alla campagna elettorale per le primarie e per le elezioni comunali. Hai notato qualche cambiamento in questi mesi, anche solo a livello di come vedi la gente?
È presto, però mi sembra che ci siano degli atti che indicano una volontà precisa. La bellezza della gente si è vista durante la campagna elettorale e quello è stato un momento di rinascita incredibile.
Era quella la bellezza che aspettavi in Liquido, canzone sul primo disco?
Forse sì; in qualche modo la bellezza sociale. Lo dicevo stasera prima di suonare Tutto resta uguale, ho la sensazione di essere un po’ meno isolato, un po’ meno straniero a casa mia. C’è tantissimo da fare, mi sembra che però ci sia una bella volontà. Questo non vuol dire che dobbiamo chiudere le armi della critica nel cassetto soltanto perché abbiamo sostenuto lo schieramento che ha vinto, ma semplicemente che bisogna dare fiducia ed essere critici quando c’è bisogno di farlo, come sempre.
Nei primi mesi dell’anno hai dato vita a un progetto parallelo, i Junkyards, con cui cantavi in inglese. Torneranno, prima o poi? O resteranno chiusi nel cassetto?
I Junkyards torneranno perché sono una cosa che mi ha dato una gioia incredibile, soprattutto è una cosa che è venuta fuori dal nulla. Erano tanti anni che volevo scrivere un disco in inglese, ci ho provato e infatti ho un blocco di appunti pieno di brutte canzoni in inglese. Poi è venuta fuori questo e sono stato io il primo a stupirmi, anche se con gli anni ho imparato che puoi aiutarti a far venire fuori le cose, se sai anche aspettare e sfruttare il momento giusto. I Junkyards sono stati un modo di fare della musica che non riesco a fare in italiano; ci sono due cose: da un lato c’è un’obbedienza a degli schemi estremamente classici, c’è un sacco di blues, però dall’altro c’è una totale libertà e quindi come al solito il modo migliore per onorare i padri è di ucciderli, andare oltre. Torneranno, la mia volontà è quella, anche perché c’è il disco che mi piace tantissimo e che ha avuto vita breve, dato che abbiamo fatto solo due/tre mesi di concerti. Poi mi ha permesso di andare a suonare all’estero, che era l’obiettivo dichiarato: una volta che ho scritto il disco, ho detto che volevo provare a proporlo anche fuori dall’Italia. Ci sono altre possibilità di tornare a suonare all’estero, anche perché lì la cosa molto figa è che la gente viene a sentirti perché non ti conosce, cosa che è l’opposto di ciò che accade in Italia, dove vengono solo se ti conoscono già. Invece in Germania, ad esempio, vengono solo se non ti conoscono; certo, possono andare su internet ad ascoltarti prima, ma c’è in generale una curiosità maggiore. I concerti a Berlino ed Amburgo sono stati ottimi, il pubblico era attento, ascoltava davvero, a volte venivano a farci domande a fine serata. (Continua alla prossima pagina…)